di FRANCESCO MELONE
Le vicende dell’industria in Italia, e quindi anche nel nostro territorio, si collocano in un contesto economico che in poco più di un cinquantennio, il periodo che va dal 1850 al 1914, subì modifiche radicali, che interessarono sia l’aspetto reale, quello che riguarda gli investimenti, la produzione, i consumi, sia l’evoluzione demografica, le scoperte scientifiche e le loro applicazioni.
Dopo il glorioso periodo delle filande, Novi sarebbe tornata ad essere un laborioso borgo di campagna, se uomini dotati di coraggiosa iniziativa non avessero dato l’avvio ad una nuova industrializzazione, che non fu soltanto meccanica o metallurgica, ma anche in campi ben diversi, dalle lampade elettriche al dolciario, da quello del legno a quello dei cartoni. Una lunga ed operosa storia di uomini ed industrie che hanno onorato Novi, dalla quale, per ovvi motivi, sono in queste note esclusi alcuni nomi di aziende, come nel campo dei laterizi, della fabbricazione di valige e delle biciclette, che però nulla possono togliere alla completezza del quadro.
A Novi si è prodotto e lavorato il migliore acciaio: lamiere, lamierini, tondini, profilati vari, travi, ecc. Tutti questi manufatti ed altri ancora si fabbricano a Novi a partire dal 1912, con il processo di laminazione a caldo, per cui l’acciaio veniva lavorato e gli si dava forma, dopo averlo riscaldato alla temperatura di circa 1100 gradi.
È stata la Società Anonima Ferriere ad iniziare la produzione di profilati a partire dai forni “a pacchetto”. La prima guerra mondiale farà aumentare la richiesta ed al primo laminatoio se ne aggiungerà un secondo e si installerà anche una acciaieria con due forni Martin-Siemens. Se la Società Ferriere di Novi Ligure, costituita nel 1912 – assorbita poi dalla Società Ilva-Alti Forni e Acciaierie d’Italia, ancora oggi presente con diversa denominazione – è ed è stata l’industria meccanica più importante quantitativamente nel territorio del novese, ricordiamo che altre officine meccaniche sorsero in anni precedenti. Infatti negli ultimi decenni del secolo XIX e nei primi del secolo scorso a Novi le lavorazioni metalmeccaniche cominciarono ad affermarsi, facendo subito rapidi progressi, per merito di intraprendenti artigiani che, con coraggio e costanza, diedero alle loro aziende dimensioni sempre più vaste o che avevano iniziato una produzione destinata a larghi incrementi.
Le origini dell’industria meccanica novese risalgono ai Fratelli Traverso, la cui officina, attiva già a metà del 1800, produceva attrezzi brevettati per le filande. Notevole importanza ebbe poi la ditta Giuglardi, nata nel 1890: durante un soggiorno a Genova Antonio Giuglardi fece la conoscenza dell’industriale Edilio Raggio, il quale si rese conto subito del valore del Giuglardi nel campo della meccanica, accogliendo favorevolmente i suoi preziosi consigli nei vari rami dell’attività che svolgeva, tra le quali quelle in Novi, e fu così che nel 1890, in collaborazione con il figlio Armando, Giuglardi impiantò una fonderia in quella che oggi si chiama via Gramsci, e precisamente nelle ex scuderie del Palazzo Tursi, già sede di una filanda, posto di fronte al Collegio San Giorgio.
Nel corso del 1902 i Giuglardi impiantarono accanto alla fonderia una torneria, con macchine utensili acquistate in Germania, la cui forza motrice era fornita da una vecchia macchina a vapore, rimessa in funzione, dopo che era già stata usata per la filanda di seta. Con il nuovo impianto l’attività ricevette un notevole impulso, per cui l’utilizzo di un solo motore per tutta la produzione divenne insufficiente. Pertanto, mentre si sviluppava l’impiego dell’elettricità anche in meccanica, i Giuglardi si uniformarono ai tempi, costruendo essi stessi una dinamo, che, azionata dalla vecchia motrice a vapore, forniva l’energia elettrica alle macchine utensili. Queste in seguito furono rese indipendenti l’una dall’altra, azionate ciascuna da una propria dinamo, naturalmente costruita nell’officina, impresa non da poco perché l’industria elettromeccanica muoveva allora i primi passi.
La produzione era specializzata nella fabbricazione di cuscinetti autolubrificanti (quelli a sfere non erano ancora stati inventati), di giunti di vario tipo, di parti di materiale ferroviario e per apparecchiature navali. Fra i clienti più importanti si contavano le Ferrovie dello Stato, i Cantieri dell’Ansaldo, le Officine San Giorgio.
Il grande sviluppo dei trasporti ferroviari rese necessario un metodo per l’alimentazione delle caldaie delle locomotive più pratico di quello in uso fino ad allora, e cioè quello di gettare con la pala nel focolaio il carbone in diverse pezzature: l’innovazione fu che queste furono uniformate nelle cosiddette “mattonelle”, agglomerati costituiti da polvere di carbone compressa in forme tutte uguali per misura e peso, con l’aiuto di un legante anch’esso combustibile, a base di catrame. Ciò permise di economizzare in modo sensibile sia il carbone, che la fatica del fuochista. In Italia, ad opera di Edilio Raggio, si costruirono ben sette fabbriche carbonifere per la produzione delle “mattonelle”. Una di queste sorse anche a Novi, lungo la strada per Serravalle e la ditta Giuglardi ebbe parte notevole nel dotare la meccanica dello stabilimento di stampi e congegni vari. Ricordiamo ancora che sul finire del secolo XIX cominciarono ad affermarsi i motori a combustione interna, quelli soprattutto della trazione automobilistica. Si può allora dire che a Novi i primi meccanici specializzati in questo settore si formarono sotto la guida dei Giuglardi.
Antonio morì d’infarto nel 1907 ed alla direzione dell’officina gli successe il figlio, fino a che allo scoppio della Grande Guerra anche questi dovette interrompere l’attività, perché richiamato al servizio militare in Marina. L’eredità dei Giuglardi si manifestò attraverso i tecnici di indubbio valore che si specializzarono alla loro scuola. Tra coloro che andarono ad occupare incarichi prestigiosi in grandi industrie come l’Ansaldo, ricordiamo Mario Cavanna e Giacomo Romairone, fondatori e dirigenti nel 1912 delle Ferriere di Novi Ligure, il primo come direttore ed il secondo come capo del personale tecnico.
Tra i pionieri dell’industria novese che riuscirono ad affermarsi in vari rami di attività grazie alla loro inventiva, alla laboriosità ed alla tenacia, occupa un posto di rilievo Arona Secondo, fondatore di una officina meccanica specializzata nella costruzione di macchine tessili. Sebbene non fosse novese – era nato a Castelnuovo Scrivia nel 1848 – si è reso benemerito nei confronti della nostra Città, non foss’altro che per averne fatto conoscere onorevolmente il nome, per primo in campo meccanico, dovunque sia giunta la produzione della sua azienda. Assunto giovanissimo come apprendista presso il cotonificio Deferrari, ebbe ben presto la qualifica di operaio specializzato ed in breve tempo promosso capo officina. Qualifica ben meritata avendo messo a punto una macchina di sua invenzione per la fresatura di ingranaggi cilindrici, il cui progetto, brevettato a suo nome, fu poi presentato all’Esposizione di Torino del 1884 e premiato con plauso e medaglia da parte del Comitato Organizzatore.
Tuttavia il suo spirito di iniziativa e la passione per le macchine non erano appagati dalla invidiabile posizione raggiunta. Per assolvere ai suoi desideri doveva essere indipendente ed infatti proprio nel 1884 lasciò il cotonificio per iniziare una sua attività in proprio, impiantando un’officina meccanica a Isorelle di Savignone, in provincia di Genova. Coadiuvato dai figli – ne ebbe dodici, otto maschi e quattro femmine – incrementò notevolmente la produzione, per cui, essendo questa orientata prevalentemente nella costruzione di pezzi di ricambio per macchine tessili, decise di trasferirsi a Novi, dove tali macchine erano utilizzate nei tanti opifici attivi in questa Città. Facciamo presente che i mezzi di comunicazione e di trasporto di allora non erano quelli di oggi.
Il primo laboratorio venne situato nel 1892 in via Serravalle, nella casa Tavella, proprio di fronte alla filanda Tedeschi, la quale, ricordiamo, quando cessò l’attività, fu acquistata dal conte Edilio Raggio e donata alla cittadinanza novese per inserirvi il nuovo Ospedale San Giacomo. L’espansione ed il consolidamento dell’attività della piccola azienda, a cui si rivolgevano sempre più numerosi clienti, costrinsero l’Arona ad ingrandirsi, occupando nel 1896 nuovi locali in salita Ravazzano Santo. Proprio in quell’anno perse uno dei figli, caduto in Africa, nella battaglia di Adua. Deciso a progredire ulteriormente ed a differenziare la produzione, costruì congegni di cui molte industrie necessitavano per lo svolgimento delle più svariate attività. La conseguenza fu un nuovo trasferimento dell’officina, questa volta definitivo, in viale Regina Elena, l’attuale corso Italia. L’attività venne orientata verso la costruzione di congegni a supporto della lavorazione del cotone, della lana, della juta e della canapa.
Tra le ideazioni realizzate dall’Arona, merita di segnalare un’attrezzatura atta a diminuire l’incidenza di infortuni sul lavoro. Prima della diffusione dei motori elettrici, le macchine tessili, come tanti altri macchinari, generalmente collocate in grandi stanzoni, erano movimentate dal vapore di una caldaia. Una grossa puleggia trasmetteva, mediante una cinghia, l’energia del vapore compresso all’albero motore primario, per lo più sistemato sotto il soffitto. Questo albero, munito a sua volta di parecchie pulegge e sempre per mezzo di cinghie, faceva funzionare le macchine. Capitava spesso che le cinghie di trasmissione scarrucolassero e gli operai addetti fossero costretti a risistemarle con l’albero motore sempre in movimento per non fermare le altre macchine collegate. Accadeva talvolta che o per stanchezza, o per distrazione, o per fatalità l’operaio fosse afferrato dalla cinghia e trascinato verso la puleggia, con la conseguenza di subire gravi menomazioni fisiche, se non di peggio. Il congegno brevettato dall’Arona era un montacinghie, che eliminava quasi del tutto quei rischi.
Anche per questa invenzione l’Arona ottenne la medaglia di bronzo dell’Industria e dell’Artigianato all’Esposizione del Cinquantenario dell’Unità d’Italia, svoltasi a Torino nel 1911. Altri brevetti, sempre nel settore tessile, sono stati ottenuti e realizzati: tra i più diffusi fu certamente un apparecchio che evitava la formazione di residui di cascame sui cilindri dei ritorcitoi da cotone. Allo scoppio della prima guerra mondiale la ditta fu militarizzata e convertita alla produzione di proiettili per granate da 75 per conto del Ministero della Guerra, fino al 1916, quando entrò in produzione bellica la grande industria pesante italiana.
Il 18 gennaio 1922 Secondo Arona cessava di vivere ed alla conduzione dell’azienda pervennero i figli Domenico, Mario e Vittorio. Poco dopo quest’ultimo si separerà dai fratelli ed aprirà una propria piccola officina, accanto a quella originaria, continuando nello stesso ramo di attività. Nel 1940 morirà Domenico, il primogenito, che per 55 anni, dall’età di 11 anni, aveva collaborato con il padre, e così Mario diventerà l’unico titolare dell’azienda, con la collaborazione del figlio Gino, nato nel 1911, il quale alla morte del padre, nel 1948, continuerà con successo l’attività dell’azienda, ma verso il finire degli anni settanta, quando ormai era sempre più difficile per la piccola imprenditoria opporsi alla concorrenza dei grandi complessi industriali, deciderà la cessazione della produzione, la quale, per dar modo alla maestranza di sistemarsi, accettando un numero sempre minore di ordinazioni, si manterrà attiva fino al 1982, quando venne assolta l’ultima commessa con i soli quattro operai rimasti dei circa 50 che prima contava l’azienda. Verrà a cessare così l’attività di una officina meccanica, vanto della Città e fucina di generazioni di provetti meccanici, tornitori, fresatori, aggiustatori, che, quando uscivano dall’azienda erano contesi per la loro bravura dai grandi complessi industriali locali e non. Cinque anni dopo moriva anche Gino Arona.
Un’altra Officina Meccanica sita in Novi di importanza non solo nazionale, ma anche internazionale, perché fornitrice di Industrie anche straniere è stata la Carlevaro e Cattaneo. Nel 1910 Lorenzo Carlevaro, un giovane non ancora ventisettenne, essendo nato il 16 novembre 1883, impiantava una piccola officina meccanica in via Cavour, con la costituzione dell’omonima ditta. Subito dopo a Lorenzo Carlevaro si associarono il fratello Ugo ed i signori Cesare Bassano e Oreste Cattaneo e l’officina, pur restando di livello artigianale, si andava affermando con la produzione di riduttori di velocità. Nel corso del suo sviluppo, la produzione comprese tutta la gamma della trasmissione di potenza, con la lavorazione a ciclo continuo, partendo dalla materia prima e, attraverso varie fasi, fino a raggiungere il prodotto finito ed assemblato pronto per l’impiego. Infatti, oltre alla costruzione di ingranaggi di qualsiasi tipo ed ai riduttori e motoriduttori di velocità in tutte le forme diverse note e per qualsiasi applicazione, da una potenza di cv 1 a cv 2000, venivano fabbricati cambi e motocambi a più velocità, fisse o variabili, nonché elettroverricelli, argani per sollevamento e traino, salpancore, argani di tonneggio, cabestani e paranchi elettrici.
La sua attività cesserà nell’aprile del 1978 ed il prezioso patrimonio tecnico, professionale e di esperienza dei dipendenti della Carlevaro e Cattaneo verrà disperso nelle varie attività esistenti nel circondario novese, alcune anche non meccaniche: è questo il più grave scotto che la società paga quando un’azienda muore. Anche l’edificio oggi non c’è più, ed al suo posto sono sorti esercizi commerciali e gli uffici di una banca. Lunga e vasta si presenterebbe all’analisi storica l’evoluzione di questa singolare azienda meccanica, diventata non solo un centro di lavoro e di benessere per i tecnici e le maestranze altamente specializzate, in essa occupate, ma una vera fonte della meccanica intesa come scienza.
Una industria, allestita per qualsiasi produzione, necessita di un impianto atto allo spostamento dei materiali nell’ambito della stessa e si può dire che un’azienda non è totalmente aggiornata se non ha installato mezzi meccanici di sollevamento e di spostamento. Durante il primo conflitto mondiale, i fratelli Coscia, Carlo Romualdo (classe 1900), e Mario (classe 1906), vengono assunti come apprendisti nella bottega artigiana di Giuseppe Tavella, fabbro e carradore, sita nella proprietà Ricci, in corso Umberto I, l’attuale via Verdi, sulla piazzetta a lato di via delle Lavandaie, oggi via San Giovanni Bosco. Giuseppe Tavella, il quale era il padre di quel Carlo, che nel secondo dopoguerra si sarebbe fatto un’ottima rinomanza nel settore dei trasporti, si ritira dalla attività nel 1921 ed i fratelli Coscia, che nel frattempo hanno imparato quanto c’era da imparare come fabbri s carradori, gli subentrano nella conduzione della piccola impresa artigiana. Poco tempo dopo, l’officina dei due fratelli ha bisogno di nuovo spazio e di più ampi sbocchi, per cui viene trasferita poco distante in un caseggiato con ampio cortile, sempre sulla stessa via, da cui usciranno barre, putrelle, lamiere, tondini di ogni dimensione, impiegati in larga misura nei più disparati settori e da opifici in Novi e provincia.
Frattanto l’attività viene indirizzata anche verso il nuovo sistema della saldatura autogena ed eterogenea. Nel 1926 i Coscia intraprendono anche il metodo della saldatura elettrica, con l’acquisto di una saldatrice statica Brown-Boveri, imponendosi sul mercato in posizioni d’avanguardia. Il Registro Navale Italiano non consentiva l’impiego della saldatura elettrica per le lamiere degli scafi navali, contrariamente a quanto la pensavano i Coscia. Il tempo doveva dare loro ragione. Infatti durante la seconda guerra mondiale le famose “Liberty” varate negli U.S.A. verranno assiemate con l’impiego della tecnica della saldatura elettrica.
Nel 1955, essendo necessario reperire una sede più vasta per l’officina, passata da azienda artigiana ad una dimensione di media industria, saranno scelti i capannoni dell’ex Saponificio Novese di Maurilio Brusasco in via Nino Bixio, su una area di 4000 metri quadrati, di cui 2200 coperti. Qui la ditta Coscia inizia la costruzione di un nuovo importante prodotto di largo consumo, indispensabile per qualsiasi azienda di una certa consistenza: il carroponte-gru. Nel 1962 il primo dei fratelli si ritirerà a vita privata, lasciando il posto al nipote Piero, figlio di Mario, il quale continuerà a dirigere l’azienda. Nel 1968 l’officina verrà sistemata in quella ch’era stata la fonderia Pedrazzini, al n. 6 di via dell’Ospedale, dove conoscerà ulteriori affermazioni diventando una delle attività meccaniche più interessanti e vive in Novi, fino alla cessazione il 31 dicembre 1987.