La lira di necessità

di FRANCESCO MELONE

Nel corso dei secoli si sono avuti molti esempi, i più diversi e in parecchi Paesi, sull’uso delle cosiddette monete di necessità. Si può anche affermare che la nostra cartamoneta, che oggi ha soppiantato la gran parte dei pezzi metallici, è nata proprio come moneta di necessità ed uno dei casi più emblematici è quello dei già citati assegnati, emessi durante la Rivoluzione francese.

Ma spesso, se impossibilitati a coniare moneta metallica, si è fatto ricorso ad altre sostanze e strumenti sostitutivi: dai metalli più vili, come piombo, ferro, alluminio, alle tavolette di tè pressato, alle conchiglie, alle pallottole di moschetto schiacciate e impresse da un lato con un marchio, alle monete di porcellana, di stoffa, di carta ricavata da vecchi messali o da carte da gioco e ancora di cuoio.

Con quest’ultimo materiale sarebbero stati battuti succedanei della moneta da Ottone I per Roma nel 966, da Guglielmo II il Normanno nel 1166 per la Sicilia, da Francesco Maria I Della Rovere nel 1517 nella lunga disperata guerriglia intrapresa per recuperare lo Stato di Urbino, sottrattogli dal Papa, e infine, le uniche pervenute fino a noi, quelle realizzate a Mantova durante l’assedio del 1629-1630, che si concluse con il feroce sacco dei lanzichenecchi del terribile Aldringen, i quali, oltre a distruggere lo splendore della bella “Atene d’Italia”, vi trasmisero il morbo della peste ricordata dal Manzoni.

Insomma, parecchi espedienti in campo monetario sono risultati idonei per tenere a bada i soldati, specialmente durante i lunghi assedi, ed impedire loro di abbandonare chi li aveva arruolati, o, nei peggiori dei casi, per non dover subire materialmente la loro ira. Si sa che le parole “soldato” e “assoldare” derivano da “soldo”.

Ricordiamo anche che deriva da sale il termine “salario”, che propriamente era la razione di sale o di altri generi alimentari concessa a funzionari della magistratura e dell’esercito nell’antica Roma.

Quando nel 1861 viene proclamato il Regno d’Italia, abbiamo visto che, tra i numerosi problemi da affrontare, vi è anche quello relativo all’unificazione della circolazione monetaria nel suo territorio, circolazione costituita da cartamoneta di cui era autorizzata l’emissione nel taglio minimo di 20 lire e da pezzi metallici in oro, argento e rame. Le monete d’oro erano coniate nei valori di 100, 50, 20, 10 e 5 lire, quelle d’argento in 5, 2, 1 lira, 50 e 20 centesimi, mentre quella di rame valevano centesimi 10, 5, 2 e 1.

Negli anni successivi si verifica una progressiva carenza di moneta metallica, non solo di quelle in oro e argento, ma anche di quelle in rame, tanto da diventare in breve tempo così grave da rendere difficili molte attività commerciali, con una crisi che dura dal 1866 al 1875. Le cause che determinano la scomparsa delle monete sono numerose, e di quelle d’oro e d’argento abbiamo già detto, ma tra le principali può essere individuata quella nella sfiducia che buona parte della popolazione nutriva nei confronti di un Governo nato, più che da una volontà diffusa, da una fortunata serie di occasioni politiche abilmente manovrate da Cavour e da re Vittorio Emanuele II.

Inoltre, i preparativi per la nuova guerra, che dichiaratamente si stava per intraprendere contro l’Austria-Ungheria allo scopo di conquistare Venezia, e il cui esito appariva incerto, aumentavano la sfiducia per il futuro, mentre correva voce che, in caso di sconfitta, le banconote italiane sarebbero diventate carta straccia. Tale sfiducia, alimentata anche presso un popolo, prevalentemente cattolico, dal clero, che condannava il Savoia come colui che inesorabilmente stava abolendo il potere temporale della Chiesa, si manifestava anche nel non accettare la moneta del nuovo Regno, priva di un vero valore metallico intrinseco.

Conseguentemente, il cambio delle banconote in valuta metallica raggiunse, e talvolta superò, un aggio del 12 %. Ma, in previsione della guerra, per rinforzare le casse dello Stato, il Governo, presieduto dal generale Alfonso Lamarmora, ottenne dalla Banca Nazionale un prestito di 250 milioni e decretò, come già abbiamo visto, con decorrenza dal 1° maggio 1866, l’adozione del corso forzoso della moneta cartacea, obbligando così tutti i sudditi ad accettare le banconote ed eliminando con ciò anche l’aggio sul cambio in moneta metallica.

L’adozione di questo provvedimento generò il panico e provocò aspre polemiche, sia in sedi politiche, sia da parte della stampa, contro l’autoritarismo di un provvedimento che imponeva l’accettazione di una moneta emessa senza controvalore metallico e quindi garantita solo dalla fiducia dell’emittente. Di conseguenza si verificò in tutta Italia una ulteriore rarefazione della moneta metallica che, anche a causa dell’aumento del prezzo dell’argento, era già stata oggetto di accaparramento da parte di italiani e anche di stranieri.

La moneta spicciola, già scarsa, diventò introvabile, paralizzando lo svolgimento dei commerci particolarmente dei meno abbienti, degli addetti al commercio minuto, dei contadini e degli artigiani, che vendevano i loro prodotti nei mercati locali; venivano danneggiati anche i consumatori, i quali, non ricevendo il resto, sia per vera mancanza di spiccioli, sia come falsa scusa da parte del venditore, dovevano subire sui prezzi degli acquisti arrotondamenti sempre a loro sfavorevoli.

E’ così che negli ultimi mesi del 1866 esplose il fenomeno della circolazione dei biglietti fiduciari, cosi chiamati perché erano usati, in ambito locale, sulla base della fiducia che chi li accettava riponeva nell’ente emittente.

Come mai l’amministrazione statale non provvide all’emissione della necessaria cartamoneta di piccolo taglio? Per quanto possa sembrare strano, all’epoca non esistevano in Italia, e non solo in Italia, aziende specializzate nella produzione di banconote e quindi capaci di realizzare biglietti con caratteristiche tali da renderli difficilmente falsificabili, per cui anche la Banca Nazionale si serviva di stabilimenti stranieri.

Nondimeno alcune emissioni furono attuate dalla pubblica amministrazione: con R. Decreto del 19 maggio 1866 si stabilì l’emissione di biglietti da 10 lire, la cui realizzazione venne affidata alla Officina Governativa Carte e Valori di Torino, costituita nel 1865. Intanto, prima che un buon numero di questi biglietti fosse approntato, con R. Decreto del 13 giugno furono messe in circolazione, attraverso gli sportelli della Banca Nazionale, marche da bollo nei tagli da 5, 10, e 15 lire, sovrastampate al fine di essere usate come cartamoneta, per un totale di 30 milioni di lire.

Queste marche da bollo furono però ben presto ritirate, cessando di avere valore dal 1° gennaio 1867, perché oggetto di immediata e diffusa falsificazione, non solo, ma anche di alterazione mediante cancellatura dell’annullo di quelle già utilizzate, operazioni talmente bene eseguite che, al momento del ritiro, la somma rimborsata risultò largamente superiore a quella emessa. Si sopperì con un nuovo biglietto da 5 lire, emesso con R. Decreto del 9 agosto, ma anche questo, come il precedente da 10 lire, fabbricato in maniera semplice e rozza, subì abbondanti falsificazioni difficilmente individuabili, per cui entrambe queste banconote ebbero la stessa sorte delle marche da bollo.

Vari decreti autorizzarono la Banca Nazionale ad emettere biglietti da £ 10, 5, 2 e 1 per conto del Tesoro dello Stato, ma la lentezza e la inadeguatezza dei provvedimenti costrinse il Governo ad acconsentire che numerose Banche locali, Province, Comuni, Opere Pie e privati potessero emettere Buoni di piccolo taglio, i fiduciari, con copertura garantita.

Occorre anche precisare che la circolazione fiduciaria ebbe modo di svilupparsi a causa del disordine della politica monetaria e delle carenze legislative riguardanti il controllo del sistema bancario. Nella nuova Italia, una pluralità di Istituti di Credito svolgeva la propria attività con ampia libertà di azione, operando spesso emissioni oltre i limiti fissati e, talvolta, anche senza autorizzazione o copertura, come nel caso del Municipio di Tortona, il quale, nel 1863, utilizzando lo stratagemma di un prestito della sua tesoreria, aveva messo in circolazione buoni da 50 centesimi e da 1 lira.

Ma, come si è accennato, è nel 1866, dopo l’introduzione del corso forzoso, che numerosi Istituti si assunsero la responsabilità di sostituirsi all’incapacità dello Stato, diffondendo l’utilizzo di questi biglietti. E anche se il Consiglio di Stato, con parere del 25 luglio 1866, si espresse sfavorevolmente nei confronti delle emissioni private, la reazione degli organi governativi, almeno nei primi tempi, fu abbastanza tollerante verso le emissioni abusive, anche in ragione della funzione di pubblica utilità che esse svolgevano.

La popolazione accolse con estremo favore la diffusione del nuovo strumento finanziario, che finalmente facilitava le transazioni commerciali quotidiane. La richiesta di questi biglietti divenne generalizzata anche perché, essendo emessi da Enti locali conosciuti e generalmente stimati, erano accettati da tutti, e nel giro di pochi mesi il commercio si rianimò con la conseguenza che gli emittenti diventarono sempre più numerosi e non solo bancari. Municipi, Provincie, Camere di commercio, Monti di pietà, società ed associazioni operaie ed artigiane, Opere pie, orfanotrofi, Società di mutuo soccorso, aziende e società commerciali, cooperative di consumo, consorzi di commercianti, albergatori, mugnai, traghettatori, piccoli commercianti e persino cittadini qualunque fecero stampare i propri buoni. Furono molti, più di mille, ad arrogarsi il diritto di emettere moneta.

Citiamo alcuni di questi buoni emessi nella provincia di Alessandria. Con il valore di 1 lira da:

  • Banca Popolare di Alessandria,
  • Banca Agricola Industriale di Alessandria,
  • Municipio di Borghetto Borbera,
  • Banca Popolare Agricola Commerciale di Capriata d’Orba,
  • Banca del Monferrato di Casale,
  • Banca di Novi Ligure,
  • Banca Popolare del Circondario di Novi Ligure,
  • Comune di Villalvernia ;
  • con il valore di centesimi 50 da:
  •    Banca Popolare di Acqui,
  •    Municipio di Carrosio,
  •    Banca del Mandamento di Gavi,
  •    Società Patriottica di Mutuo Soccorso in Novi Ligure,
  •    Associazione Generale degli Operai di Ovada,
  •    Municipio di Serravalle Scrivia,
  •    Municipio di Tortona.

Con il valore di centesimi 10 dal negoziante Antonietti Carlo di Nizza Monferrato.

Se i primi biglietti furono emessi allo scopo di rispondere ai bisogni della popolazione, in seguito molti operarono con fine speculativo, allo scopo di ricavare illeciti profitti. Furono soprattutto taluni commercianti, che misero in circolazione ingenti quantità di fiduciari con la speranza che una buona parte di essi non venisse presentata all’incasso o, addirittura, sottraendosi poi al rimborso con vari stratagemmi, come, per esempio, non indicando la loro sede o la località e anche trasferendo altrove la propria attività. Ma non solo i privati utilizzavano metodi discutibili per evitare il rimborso: per esempio, la maggioranza degli Istituti bancari rimborsava solo somme non inferiori a 10 o 20 lire.

Il danno maggiore ai possessori dei biglietti fiduciari venne arrecato dal fallimento di numerosi emittenti, i quali avevano scoperto la possibilità di autofinanziarsi, reperendo quei capitali che nessuno avrebbe affidato loro senza solide garanzie e, per giunta, senza esborso di interessi. Così molti, o per incapacità amministrativa, o per investimenti avventati, o per semplice disonestà, non furono in grado o non vollero effettuare i rimborsi, tradendo quella fiducia che era il fondamento di questa operazione monetaria.

Altro danno di un certo rilievo si verificò anche qui dalle contraffazioni, che, soprattutto nei primi tempi, furono facilitate dalla semplicità della fattura dei biglietti. Esaminando le loro caratteristiche qualitative ed estetiche, si ha modo di rilevare l’evoluzione del lavoro tipolitografico in Italia e di constatare lo sviluppo che la produzione di carte valori apportò al settore nel volgere di pochi anni.

I primi biglietti, in gran parte prodotti da aziende artigianali locali, denunciano i limiti delle capacità e delle attrezzature utilizzate e fanno conoscere l’affrettata preparazione dovuta alla situazione di emergenza. Stampati con comuni caratteri tipografici, erano normalmente contornati da modeste cornici ornamentali, che rappresentavano quasi sempre l’unico elemento decorativo. A volte, una uguale cornice e identici elementi grafici venivano utilizzati per più committenti e, per ostacolare la contraffazione, erano soltanto convalidati con firme manoscritte, con timbri, talvolta con bolli a secco di meno facile imitazione, e spesso anche la numerazione era scritta a mano.

Soltanto chi poteva emettere quantitativi rilevanti, come alcune banche o enti pubblici, commissionava i loro biglietti ad aziende qualificate, situate nelle principali città, che disponevano di incisori esperti nell’eseguire lastre litografiche di pregio. A partire dal 1867 la qualità dei biglietti registra i primi notevoli miglioramenti, anche per l’apporto di artigiani e incisori esteri, chiamati in Italia dalla crescente richiesta di produzione qualificata. Nel volgere di pochi anni compaiono biglietti esteticamente migliori con raffigurazioni di personaggi illustri, riproduzioni di monumenti, edifici ed opere d’arte locali. Vengono usati colori differenti per i diversi valori e si utilizza carta di buona qualità, come la pergamina o quella oleata.

Ma molti emittenti minori continuano ad affidarsi a tipografie locali ed a servirsi di carta scadente, sia per ragioni di economia, sia perché i biglietti così fatti si deteriorano più facilmente, diventando in breve irriconoscibili e quindi inesigibili.

Il fenomeno della circolazione fiduciaria si è manifestata quasi esclusivamente al nord e nel centro Italia, mentre nel meridione si riscontrano pochissime emissioni. La causa può essere individuata non tanto in una minore attività nei commerci o da maggiore disponibilità di circolante, quanto nel fatto che il Banco di Napoli e quello di Sicilia, fino dai primi mesi del 1866, avevano provveduto all’emissione di piccole polizze e di fedi di credito nei tagli da lire 10 e 1.

La dimensione economica progressivamente impressionante del circolante fiduciario causa, dopo l’iniziale tolleranza, le preoccupazioni del Governo, che non può assistere indifferente al fenomeno abusivo sempre più dilagante ed inarrestabile. Già nel 1867 la Banca Nazionale aveva immesso in circolazione grossi quantitativi di banconote da 2 lire stampate negli USA, cui seguirono nel 1869 i primi biglietti da 1 lira; ciò nonostante la circolazione fiduciaria era in continuo aumento.

Per valutare ed arginare il fenomeno venne nominata una commissione parlamentare d’inchiesta, la quale per tre volte, a partire dal 1868, riferì alla Camera i risultati dell’indagine, svolta con notevole difficoltà, sia per la mancata collaborazione di molte autorità locali – le provincie di Alessandria, Arezzo e Cuneo non avevano trasmesso alcun dato – sia per la comprensibile reticenza di molti emittenti, i quali, avendo stampato abusivamente i biglietti, temevano di incorrere in giuste sanzioni. La terza relazione, del 1872, fornì dati preoccupanti sul dilagare del fenomeno, valutando la circolazione fiduciaria in circa 40 milioni, pari a quasi 300 miliardi di lire attuali, valutazione dichiarata dagli stessi estensori gravemente imprecisa per difetto, a causa del numero di emissioni private sfuggite ad ogni controllo.

Attualmente, sono noti circa 2000 diversi biglietti fiduciari, quasi tutti estremamente rari od introvabili, ma ogni tanto se ne scoprono di nuovi, specialmente quelli relativi alle modeste emissioni effettuate da bottegai e privati, che riuscirono a sottrarsi alle incomplete indagini del Ministero e che non comparvero quindi negli elenchi ufficiali.

Questa disordinata circolazione di moneta spicciola obbliga il Governo ad intervenire ed a mettere in atto, nel 1873, una serie di provvedimenti aventi lo scopo di riprendere il controllo della circolazione monetaria. Con circolare ministeriale del 22 giugno viene imposto agli Istituti di credito di iniziare il ritiro dei biglietti non autorizzati, con legge del 20 febbraio 1874 viene imposto il divieto di tali emissioni alle Banche Popolari e infine la Legge del 30 aprile 1874 n. 1920 impone lo stesso divieto agli enti giuridici, alle società ed ai privati. L’art. 1 dice: « Durante il corso forzoso è vietato a qualsiasi privato, Società od Ente giuridico di emettere biglietti di banca od altri titoli equivalenti, pagabili al portatore e a vista, ad eccezione dei seguenti Istituti: Banca Nazionale del Regno d’Italia, Banco di Napoli, Banca Nazionale Toscana, Banca Romana, Banco di Sicilia, Banca Toscana di Credito per le Industrie e il Commercio d’Italia…». L’art. 30 proibisce « i biglietti denominati di giuoco o complimento, i quali simulano od imitano i biglietti di Banca ».

Il termine per il rimborso dei biglietti fiduciari, dopo varie proroghe, viene definitivamente stabilito al 31 dicembre 1876.

Le sei banche riunite in Consorzio emettono biglietti a corso forzoso inconvertibili, fabbricati e rinnovati a loro spese, chiamati “consorziali a corso forzoso” con tagli da lire 1000, 250, 100, 20, 10, 5, 2, 1 e da centesimi 50 per un totale di mille milioni, a partire dal 22 maggio 1875, ma già nel 1877, per ragioni tecniche, le emissioni hanno fine.

Il Consorzio viene sciolto il 30 giugno 1881 e si stabilisce che la fabbricazione dei biglietti deve essere assunta dall’Officina Governativa delle Carte-valori con l’emissione di nuovi biglietti recanti la scritta “Biglietto già Consorziale” e con gli stessi tagli, salvo quello da 50 centesimi, sostituito da moneta d’argento.

La circolare del Ministero del Tesoro del 19 giugno 1886 precisa che i biglietti a debito dello Stato, cioè biglietti consorziali e già consorziali, continueranno ad avere corso legale fino al 12 aprile 1888, dopo la quale data e per altri cinque anni potranno essere presentati alle tesorerie autorizzate per essere convertiti in moneta metallica.

Il fenomeno della circolazione di buoni cartacei sostitutivi di moneta, simile a quello dei biglietti fiduciari, si verificò anche negli anni 1893/94 e, in tempi più recenti, dal dicembre 1975 all’agosto 1977, quando, sempre a causa di carenza della moneta spicciola, oltre all’uso dei gettoni telefonici, si ebbe la emissione per centinaia di miliardi di lire da parte delle banche più diverse – la prima fu il San Paolo di Torino – dei cosiddetti “miniassegni”, nei tagli di 50, 100, 150, 200, 250, 300, 350 lire (dovevano avere valore inferiore a lire 500).

I biglietti emessi nel 1893/94, anche se apparentemente simili ai fiduciari, se ne discostano nella sostanza in quanto emessi, dichiaratamente, contro deposito, per circolazione limitata all’ambito commerciale dell’emittente. Erano infatti spendibili o da soci che avevano depositato l’importo o negli spacci cooperativi, nelle mense aziendali, nei magazzini dei fornitori o sui mezzi di trasporto pubblici. Nonostante la dichiarata circolazione limitata, questi biglietti trovarono accoglienza anche tra la popolazione, che si sentiva garantita dalla notorietà degli emittenti.

Massiccio fu anche il ricorso ai gettoni, con valori mediamente compresi fra i 10 centesimi e la lira, prevalentemente in ottone e rame, negli anni immediatamente successivi alla fine della prima guerra mondiale, caratterizzati da un’ennesima crisi di moneta spicciola metallica, che lo Stato aveva coniato con parsimonia durante il periodo del conflitto per non privare l’industria bellica di scorte metalliche.

 


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