L’invito
VENE, SE TI PO’… Vieni. se puoi, può sembrare lì per lì la frase più banale di questo mondo, ma potrebbe riserbare invece amare sorprese qualora un bello spirito, giuocando non tanto sull’ambiguità del suo significato letterale, quanto e più ancora sul modo di pronunciarla, per esempio, indugiasse sul …SE TI PO’!
PICCOLA GALLERIA NOVESE
Questa frase ebbe un tempo il suo quarto d’ora di celebrità, e ne vedremo il motivo, a causa di una vicenda non a tutti nota nei suoi particolari, vicenda che ebbe origine tanti anni fa nell’antica Osteria del Moro, che come sappiamo, la Famiglia del Dini Perolo, all’insegna di una ricciuta testa di negro, gestiva nell’allora Via del Funghino.
Siccome rispecchia il senso umoristico di un’epoca, ci piace qui ricostruirla, riportandone alla ribalta personaggi ed ambienti che da tempo sono ormai scomparsi.
Via del Funghino? Domanderà qualcuno. Si chiamava proprio via del Funghino la strada che collega via Paolo da Novi a via Gramsci, cambiò in seguito la targa e divenne via Verri quale doveroso omaggio ad un venerato medico novese, per trasformarsi ancora negli ultimi anni nella odierna via Don Minzoni, però, anche se Osteria ed insegna siano da parecchio scomparsa, quella via era ed è ancora per moltissimi novesi: a contrò deé Moru.
L’Osteria del Moro era dunque l’ambiente in cui i protagonisti della nostra storia si incontravano quasi tutti i giorni e se uno di essi, il Merlo, non ha bisogno di particolari presentazioni, perché egli è sempre quello del <Processo>, l’altro, invece, richiederà maggior attenzione da parte nostra, perché è appunto a causa dei suoi <deboli > che nacque il bisticcio che portò alla conclusione che vedremo.
Quest’<altro> era un uomo dalla statura superiore alla media, tarchiato, faccia larga e sanguigna, baffi spioventi, collo taurino ben piantato sulle robuste spalle, per cui dimostrava essere persona ancora più energica e decisa malgrado avesse già oltrepassata la sessantina di qualche anno.
Si chiamava Alignani di cognome, un parentado allora assai diffuso, però era meglio conosciuto come <Fighiséin>, e ciò per il fatto di essere egli proprietario di un cascinotto che per le sue numerose piante di fico da cui era circondato , era detto, la <Fighisina>, una specie di bicocca posta sulla strada di Gavi poco fuori Porta Genova, ed egli abitava con la sua <Cesca> sua legittima consorte, Fighisèin faceva di mestiere il sensale di bozzoli e granaglie, ma da giovane era stato in Russia con Napoleone, soldato di quella Armata d’Italia resasi famosa per la strenua difesa del Ponte sulla Beresina.
Egli fu tra i pochi scampati e bisognava sentirlo quando raccontava le sue prodezze e le sue disavventure; comunque fosse, si sentiva fiero di aver appartenuto a quella gloriosa schiera di soldati che l’Imperatore chiamava suoi Eroi, ma che in pretto novese Fighiséin traduceva in Erùi!
La medaglia di bronzo sormontata dalla corona imperiale che alla morte di Napoleone aveva ricevuto, la ostentava bene in vista appesa alla stanghetta della catena dell’orologio, quale segno tangibile della sua distinzione come vecchio <Grognard> dalla Grande Armée!! Ecco dove stava il suo maggior <debole>.
Un’altra di queste piccole manie, di questi <deboli>, era dato dal fatto di chiamarsi Alignani, una casata cui si voleva discendesse dagli antichi Signori di Santa Maria degli Avignani, (2) uno dei presunti Nove Castelli che diedero origine alla nostra Città. Si sentiva quindi nientemeno che pronipote dei fondatori di Novi, roba da fargli gonfiare il petto solo a parlarne!
Il Merlo che conosceva queste piccole <debolezze> di Fighiséin non osava, col suo spirito caustico, prenderlo direttamente a gabbo come era solito invece farlo con altri perché temeva la reazione piuttosto aspra di quest’ultimo, perciò le sue battutine le lanciava a debita distanza, in sordina, cercando di colpire il bersaglio solo di rimbalzo, soddisfaceva ugualmente il suo istinto che era quello di pungere a tutti i costi il prossimo.
Quando al <Moro> per esempio, Maséin èè Carbunéin, noto cronista del <Carlo Alberto> rivolgendosi con l’indice teso verso Bughé intonava l’aria dell’allora famoso duetto dell’ATTILA… <Dove l’eroe più valido è traditor spergiuro…> e quest’ultimo, nei panni di Ezio, sfoderando la sua squillante voce tenorile gli rispondeva fieramente … < Finché ad Ezio rimarrà la spada sarà salvo il gran nome romano…>, il nostro Fighiséin a quei sonori accenti si sentiva rinascere l’ardore dei vent’anni e, dimenandosi sulla sedia, non poteva trattenersi dall’esclamare: I sènti cmè chi porla i’ erùi!
Era allora che Merlo col suo fare scanzonato sommessamente mormorava al vicino del tavolo: Ti u sàinti èè fondatù id Nove? Erùi, erùi, saimpre erùi… ma u nu sà che a Nove, u vo di sbògli! L’erù d’Napulèon?! Ma l’erù d’Napuleuon l’è Lè, otru che eroe!!
Naturalmente Fighisèin, non vivendo sulla luna conosceva perfettamente questi ed altri giochi di parole che il Merlo usava nei suoi riguardi, era logico quindi che ad un certo momento cercasse il mezzo migliore onde poterlo ripagare con la stessa moneta. Questo intento però egli voleva raggiungerlo con una trovata, da far epoca, che avrebbe dovuto far chiudere il becco al Merlo, definitivamente, almeno nei suoi riguardi. Non solo al <Moro> ma tutta Novi doveva riderne! Si trattava comunque di un compito non facile, il Merlo era una vecchia volpe, perciò occorreva circospezione ed astuzia e in questa occasione Fighisèin cercò di non essere inferiore all’avversario.
Era noto che la ricorrenza di San Michele Arcangelo, Santo patrono degli Alignani, usasse richiamare nella Chiesa di San Pietro tutti i capi famiglia maschi della casata e come, dopo la Messa celebrata nella Cappella dedicata al Santo, questi si riunissero per la ripartizione dei redditi maturati su un antico lascito della casata stessa
Si sapeva pure che Fighisèin per questa occasione era al solito offrire alla Fighisina, ai suoi piccoli nipoti ed ai cari amici, ciò che di meglio la sua Cesca era capace a sfoderare in fatto di arte gastronomica, perciò nulla di strano se la sera precedente il San Michele egli, al <Moro>, ne parlasse diffusamente con gli amici indugiando, con una certa compiacenza, a descriverne le pietanze.
Ad un’estremità del tavolo ov’erano seduti, il Merlo ascoltava con occhi socchiusi da gatto soriano, mentre con i gomiti appoggiati sul tavolo, le mani sotto il mento sorreggevano la pipetta di gesso che nervosamente stringeva tra i denti, quando ad un tratto, con la massima naturalezza, Fighisèin gli si rivolge e…: Merlù ti u se che San Michè lé per mi na gran giurnò, vene anche ti a cà mè, a fèmu na bèla rigusia… (1) … ma, se ti pò!… naturalmàinte sulu se ti po’!.. t’è capì?!.
Il Merlo che aveva inteso parlare di una sfilata di piatti uno più appetitoso dell’altro, pur sorpreso dall’inatteso invito, rimase per qualche istante esitante ma finì per cedere, e …bròv Fighisèin, a vénu propiu in cu piasài, ti mè dmàndi sa posu? …ma anche sa fusa sàinsa gambe!… e con questa frase l’accettazione fu completa.
All’indomani, al giusto scoccare del mezzogiorno, il Merlo è alla Fighisina e … Toc, Toc… batte alla porta. Dalle fessure dell’uscio, invitante messaggero, traspira un vero odore <id tucu in cu i fonzi>… al nostro uomo si cominciano a dilatare le nari, lo stomaco avverte uno strano languore, mentre un moto involontario della gola gli provoca certi movimenti pregustatorii facilmente intuibili, perciò… Toc…Toc…con più impazienza! Dall’interno giungono rumori di passi e mormorii di voci … ma la porta rimane inspiegabilmente chiusa!
Ad ud un tratto è invece una finestra del piano di sopra che si apre, e chièlu?… chiede affacciandosi Fighisèin … ah, te ti Merlu? bròvu, bròvu … te statu id parola, ven pura, ma se ti po!
Il Merlo che non ha ancora afferrato il vero senso della frase, obietta interdetto: Ma Fighisèin… se t’i levi èè frugiu daa porta cma fàsna a gni?
< Mi to ditu, replica Fighisèin che ti veni se ti po! e mantegnu a parola… SE TI Pò VENE !?!?… èè parlò d Nove caro mio è traditure… t’in lè ancù capia l’antifuna?!… at salùvu… merlu!… e qui il nostro Fighèsin, calcando volutamente sul doppio senso della parola <merlo> chiudeva definitivamente discorso e finestra.
E’ pacifico che quel giorno, se il Merlo volle calmare quel tal languorino di stomaco, dovette ricorrere alle buone grazie di Manin del Moro, però aveva fatto, per sé e per gli altri una esperienza nuova e cioè che … <Vieni … se puoi!> non è invito da accettarsi tanto ad occhi chiusi!
Ettore Repetto
- Rigusia: nel vecchio dialetto di Novi sta per Allegria, Festa
- Avignani: si trasformò in seguito in Alignani
(Articolo tratto da NOVINOSTRA, anno 1963)