Quattro chiacchiere con lo scultore
Cav. Pietro Lagostena
Alla <Porta Genova>, sotto l’ombra del campanile di Sant’Andrea, nella casa del nonno < Fachetnabi>, nasceva, il 16 maggio 1877, Pietro Lagostena. Nella calma serena di Novi di fine ottocento trascorse i primi anni della sua infanzia, correndo in frotta con i suoi coetanei negli angusti e famigliari viottoli che si aprivano di botto sulle antiche mura prospicenti la <Faiteria> e la collina della <Perassa>.
Venne poi l’età degli studi ed il piccolo Pietro fu convittore prima a Sarzana nel collegio dei Somaschi, quindi studente ginnasiale nel nostro Collegio San Giorgio. Le sue spiccate attitudini al disegno e all’arte fecero sì che a sedici anni si iscrivesse all’Accademia <Ligustica> in Genova, a poco più di vent’anni frequentasse la <Scuola del Nudo> in via Ripetta a Roma e, successivamente, l’Accademia di Firenze.
A venticinque anni sposò l signorina Rachele Montarsolo di Genova e si stabilì nella sua città natale fissando dapprima la sua dimora in via Cavour (angolo via Girardengo), dove attualmente ha la sede il Banco di Roma, poi in via Pietro Isola. Nel frattempo avviò un operoso laboratorio di marmi e scultura. Dopo pochi anni, per svincolarsi dalle noiose discussioni economiche e dagli stucchevoli legami contrattuali, chiuse il laboratorio e tenne aperto uno studio privato, continuando la sua intensa attività artistica ed insegnando per sei anni nella Scuola d’Arte e mestieri di Alessandria. Conosciuto ed apprezzato come artista, fu poi più volte chiamato lontano dalla sua città: tra l’altro fu ospite nella Villa dei Signori Demicheli a Galliera Veneta (Padova); affrescò a Olgiate Molgora (Milano) la villa del Marchese Sommi Picenardi, presidente del Veloclub d’Italia; venne spesso invitato da nobili famiglie genovesi ad affrescare palazzi sontuosi, a congegnare pregiati cofanetti e portagioie, a disegnare efficaci caricature, a modellare busti e gruppi in marmo ed in gesso.
Si dimostrò sempre all’altezza della stima che giustamente gli veniva concessa, animato da un’indomabile passione, da un’erompente carica di dinamismo e da un genuino desiderio di libertà d’espressione artistica che lo resero un ecclettico, al punto che scherzosamente l’Ingegner Guerci di Alessandria, in una lettera spedita al caro amico Pietro, indirizzava <al falegname, al fabbro, al muratore Lagostena>
Ora il Lagostena, presidente onorario della Società Storica del Novese, ha compiuto da poco ottantacinque anni, ma continua, con lo stesso immutato ardore giovanile e con una ferrea volontà, alimentata dalla vivida fiamma della passione, la sua estrosa attività perfezionata da una lunga esperienza e da una felice ispirazione che ha conservato la zampillante freschezza degli anni verdi.
E con briosità giovanile ci ha accolti pochi giorni or sono quando, recatici da Lui per ammirare il suo studio – laboratorio, abbiamo ascoltato dalla sua viva voce la presentazione delle sue numerosissime opere, i ricordi lasciati in Lui dalla lunga esperienza di vita e le opinioni sui giovani artisti del nostro tempo.
<Quali sono i lavori che lei ritiene più importanti e più significativi?>
I lavori per l’arista sono tutti belli, sono gli altri che ci devono dire se sono veramente ben riusciti. Comunque tra i lavori che più mi hanno dato soddisfazione ricordo il busto in marmo di Mariano Dellepiane che si trova nell’atrio dell’Ospedale San Giacomo; lo avevo rifinito con paziente meticolosità e avrei voluti che lo ponessero sulla sua colonna all’altezza di un metro e mezzo circa, proprio perché si potessero vedere i minuti particolari delle rifiniture stesse; invece fu posto, con mio comprensibile disappunto ad una altezza di circa quattro metri. Nel cimitero di Novi poi sono molteplici le mie opere: citerò soltanto le cappelle delle famiglie Rebora, Bassano, Bovone, Mantero, Foggi, Cattaneo, la <Pietà> nelle cappelle delle famiglie Cavanna e Parodi, e tre tombe con la Crocifissione la Morte e la Resurrezione. Anche a Genova nel cimitero di Staglieno, portico Montini, ho alcuni miei lavori che hanno riscosso i favorevoli consensi di autorevoli persone competenti. A Galliera Veneta ho scolpito, in pietra dei Colli Berici, il monumento alla Quarta Armata; esso raffigura la Vittoria che protegge la resistenza dei vecchi e stanchi soldati sul Piave e che guida l’avanzata degli animosi giovani del ’99 dopo Caporetto; fissato nel basamento del monumento stesso c’è il medaglione in bronzo del Generale Giardino, comandante dell’Armata del Grappa e presente all’inaugurazione.
Nel 1922 alla Fiera di Milano mi fu affidato il compito non facile di preparare il padiglione dell’Abruzzo che fu ultimato prima di tutti gli altri. Mancavano pochi giorni all’apertura inaugurale della Fiera ed il padiglione della Mostra sembrava essere ancora in alto mare; allora presi l’iniziativa, mi feci regista e <factotum>, mi rimboccai, come si suol dire, le maniche e mi tuffai nell’ardua impresa: poche ore prima della cerimonia di apertura tutto era a posto e sistemato. Le Autorità si congratularono con me… ma che momenti! … L’anno successivo eseguii nel giro di due mesi tutti i lavori di architettura e di decorazione dell’Esposizione di Castellamare Adriatico. Molti altri ricordi si affollano nella mia mente, ma vi menzionerò soltanto per brevità il Monumento ai Caduti eretto a Pozzolo Formigaro, i busti in marno nell’Asilo di Casa Borsalino, nel Sanatorio, nella Casa di Riposo, il nudo mutilato nella Casa dei mutilati di Alessandria e il monumento dei Mirabello posto all’ingresso dell’Ospedale di Tortona.
Tanto per finire citerò l’altare col gruppo di S. G. Bosco; ma ancora molto potrei aggiungere; dirò soltanto che per l’albergo Corona ho progettato, disegnato, ricreato con artigiani novesi mobili e ferri battuti.
<Abbiamo notato che la sua casa, tanto all’interno quanto all’esterno, ha una caratteristica tutta sua e che è un po’ una mostra dei suoi lavori di indubbio pregio. Che cosa ci può dire in proposito? >
Io ho un po’ la mania della casa che per me è una specie di sacrario; la mia casa rispecchia in un certo senso il mio linguaggio artistico: l’ho costruita, l’ho ritoccata e rinfrescata con lo stesso amore con cui un bambino coccola il suo giocattolo preferito. Per lei ho sempre avuto un culto profondo e da lei mi sono staccato, ogni volta che ne fui, per così dire, costretto, molto a malincuore. Pensate che nel 1906, in seguito ad un bozzetto in concorso, venne a Novi il console di Montevideo per convincermi ad accettare la carica di direttore di una scuola della capitale uruguaiana: ebbene non accettai per rimanere a Novi.
Qui nel mio studio vedete ora molti lavori: lì è un gruppo di gesso di fedeli raccolti intorno a Pio XII benedicente; quella è la Madonna degli Angeli che protegge col suo materno manto due fanciulli e che porta in braccio il Bambino. E poi ecco i ritratti dei miei genitori, dei miei fratelli, teste e busti di amici. Quello lassù è il bassorilievo fatto nel 1900 per l’Esposizione di Parigi; fu mandato all’Accademia e ricevetti una lettera di elogio e d’incoraggiamento dal ministro della Pubblica Istruzione. Poi ancora vedete là la statuetta di San Bartolomeo, il gruppo di pescatori, il partigiano, il soldato tedesco, il soldato inglese nelle tipiche divise dell’ultimo conflitto mondiale.
<Ha conosciuto artisti della sua epoca e del primo novecento?>
In primo luogo ricorderò i miei ottimi insegnanti Sansebastiano e Viazzi, ai quali debbo molto; poi il coetaneo Giovanni Prini, deceduto nel marzo di quest’anno, lo scrittore genovese Pasciutti; il pittore futurista Balla che attraversò critici momenti di ristrettezze economiche ; il pittore Mussini, fattosi frate per delusione amorosa; il vispo caricaturista Sacchetti che a Firenze frequentò con me l’Accademia; mi piace ricordare lo scrittore e poeta Giovanni Papini che nel caffè <Gambrimus> di Firenze sostenne con me vivaci discussioni sull’arte dello scultore francese Rodin in voga e di moda. A Roma infine, socio effettivo dell’Artistica Internazionale, nel 1901 conobbi vecchi e giovani artisti tutti <lottatori> per le nuove tendenze; Direttore di turno era il conterraneo Giulio Monteverde.
<Che cosa pensa degli artisti moderni?>
Non ho molto da dire e non vorrei essere troppo severo nel mio giudizio: noi certi lavori li mettevamo in soffitta. La mia critica è perciò poco lusinghiera e piuttosto negativa.
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Quante cose ha detto e confidato il Cav. Lagostena! Forse avremmo indovinato se avessimo portato un nastro di registrazione per fissarle tutte senza lasciarcene sfuggire qualcuna.
Ad ogni modo abbiamo capito che il nostro artista è più che mai intenzionato a continuare la sua attività a dispetto della considerevole età a che in lui sono ancora fortemente sentiti l’entusiasmo e lo slancio artistico che lo hanno reso tanto apprezzato.
Accomiatatoci dal simpatico ospite, il nostro sguardo si è posato su una scritta murale situata nell’entrata dell’abitazione, che ci pare sintetizzi con molta efficacia l’essenziale dello spirito e del mondo del Lagostena:
<Gli artisti sono uomini che precedono gli altri; vanno innanzi e additano il sentiero; si voltano indietro e si trovano soli … Questi grandi, questi infelici solitari …>. (F. Cavallotti)
RENATO GATTI
(Articolo tratto da Novinostra anno 1963 n.3)