di FRANCESCO MELONE
Dal proemio ai “Ragionamenti Vari”, datati 1576, scritti da Lorenzo Capelloni, storico novese autore di una vita di Andrea Doria, si legge che già dal secolo precedente esistevano in Nove, con i relativi Oratori, quattro pie Confraternite di Disciplinanti: quella della S.S.Trinità dei Pellegrini e Convalescenti – la più antica, sorta nel 1482 – quella della Misericordia e della Morte ed Orazione, quella di S.Bernardino e quella di S.Maria Maddalena e S.S.Crocefisso.
Di pie unioni laiche si trovano tracce in Francia già nel secolo VIII, ma quelle del secolo XIII sono il risultato dell’imponente moto religioso, che scuote la società cristiana di quel tempo. In un primo periodo sono associazioni di devozione, ma in seguito diventeranno sodalizi di assistenza e beneficenza.
Il grande fervore suscitato dalle compagnie di secolari chiamate ”delli Disciplinati di Jesù Cristo” e che si estende a Tortona ed a Genova negli anni 1260-1261 coinvolge anche la Novi medievale.
L’ardore mistico che sfocia nelle scomposte manifestazioni delle processioni dei Battuti, dei Flagellanti, dei Disciplinanti pian piano si risolve in ordinate cerimonie liturgiche. Si formano le prime Confraternite sorte per la necessità di colmare la frattura formatasi tra il clero, mondanizzato e in crisi per i moti ereticali, e la società borghese insieme al popolo minuto. Nell’anno 1244 nasce a Firenze, per opera di un semplice e virtuoso uomo del popolo, di nome Piero di Luca Borsi, la Confraternita della Misericordia.
Talvolta gli affiliati nel loro ardore religioso sembrano voler addirittura usurpare certe prerogative e funzioni degli ecclesiastici, tanto che talune pratiche di culto sono condotte dagli stessi confratelli. Il dualismo crea frizioni e contrasti fra le due componenti della comunità, che non cesseranno mai, anche nei tempi successivi e ancora in quelli recenti, di questionare anche aspramente. In questo clima e sulla scia della fondazione fiorentina è probabilmente sorta in Novi la Confraternita della Beata Vergine della Misericordia.
All’inizio si tratta di una Congrega caritativa a favore dei bisognosi, senza distinzione di ceto o di religione. Ci si dedica a quanto è contemplato nelle sette opere di Misericordia corporale e cioè, secondo Domenico Cavalca, frate domenicano vissuto a cavallo dei secoli XIII e XIV: “Visitare gl’infermi e miseri, dare mangiare agl’affamati, dar bevere agl’assetati, vestire li nudi, ricomperare li prigioni, alloggiare li poveri peregrini, sepelire li morti”. Nel tempo poi si dedicherà all’assistenza ai moribondi, alla traslazione dei cadaveri ed al suffragio delle anime dei defunti.
L’anonimato era garantito dall’uso della “buffa”, sotto la quale si nascondevano i confratelli della più varia estrazione sociale: c’erano gli appartenenti ai tre stati e cioè i nobili, gli artigiani (chiamati grembiuli) e il clero.Tutti sono animati dallo stesso spirito generoso di dedizione, specialmente verso gli sventurati giunti sul passo estremo. A differenza di membri di altre Confraternite, che indossano preziose cappe con fregi dorati e mozzette di velluto e che molto spesso non sono altro che comparse esclusivamente decorative, i nostri non disdegnano di infilarsi il saccaccio, per dedicarsi al loro ingrato compito. Perciò sono guardati con rispetto dalla popolazione, anche se tenuti un po’ alla larga, considerati una compagnia di insensibili necrofori.
L’esigenza sempre più sentita di assistere e preparare al trapasso i molti condannati a morte e di accompagnarli al luogo del supplizio, fa sorgere a Roma la Venerabile Arciconfraternita di San Giovanni Decollato, i cui promotori sono dei Fiorentini che intendono anche così celebrare il Santo patrono della loro Città.
La creazione del Tribunale dell’Inquisizione incrementa la loro assistenza. Nei registri dell’Arciconfraternita viene descritto il triste cerimoniale, con cui i “confortatori”(tra i quali è anche iscritto certo Michelangelo Buonarroti) cercavano con ogni mezzo, talora con l’aiuto di dotti Padri, ma spesso con sistemi più drastici, di indurre il reo a pentirsi ed a morire in grazia di Dio. Il non poter amministrare i Sacramenti al condannato era motivo di sincero dispiacere per i Confratelli, che agivano in tutta buona fede.
Uno degli imputati più noto fu Giordano Bruno di cui conosciamo la sorte. Quando il condannato si ravvedeva e baciava il Crocefisso, i Confratelli ne erano compiaciuti “per il di lui felice passaggio all’altra vita”. Seguiva un rinfresco a base di “vin greco, confetti e biscottini di Savoia” e le esequie erano celebrate cristianamente.
In quest’epoca a Novi, nella stessa Chiesa della Misericordia, si era già organizzata la “Confraternita della Morte ed Orazione”, che nel 1675 ottiene l’aggregazione alla Arciconfraternita di Roma, la quale ha come sede una Chiesa che “capisce due milla persone e tutti li giorni vi è gran concorso di popolo”. Ricordiamo che le Arciconfraternite sono quei sodalizi che hanno il diritto di aggregarne altri aventi lo stesso scopo.
Questa aggregazione consente ai novesi di fruire di un supplemento di “Grazia divina e precedente merto”. Infatti dal “Sommario di tutti gl’Obblighi dei Fratelli et Sorelle” stampato in quell’anno, si apprende la formula che usa il Sacerdote nel vestire i paludamenti prescritti e l’elenco delle Indulgenze, fra cui “…li Fratelli et Sorelle che anderanno a visitare gl’infermi guadagneranno per ogni vola 100 giorni d’Indulgenza…Item tutti li Fratelli et Sorelle che anderannoa sepelire li morti o che li accompagneranno alla sepoltura guadagneranno 200 anni d’Indulgenza et altrettante Quarantene”.
Dal regolamento, datato 1590, si legge, tra l’altro, che “Ogni volta che la nostra Confraternita sarà chiamata, o vero averà notizia d’alcun morto che non abbia il modo per la povertà d’esser sepelito…li nostri Fratelli debbano ritrovarsi con li sacchi nella nostra Chiesa o Oratorio all’hora deputata donde partendosi col nostro Cappellano vestito con la Cotta e Stola, con Croce Cataletto e quattro torce gialle vadino a sepelirlo tutti coperti a due a e con divotione et silentio”. Anche i più miseri dovevano avere degna sepoltura con un “Dies irae” propiziatorio.
Almeno in certi periodi la gestione di questo servizio non fu sempre esemplare, se il 13 gennaio 1678 il Vescovo di Tortona, Mons. Carlo Settala, inviava una severa reprimenda, in cui, tra l’altro, era fatto divieto ai Confratelli di fare Processioni “con delazione del Santissimo”, pena la sospensione a divinis del sacerdote sprovvisto di licenza del Parroco e l’interdetto dell’Oratorio.
Erano piuttosto frequenti abusi come questue non autorizzate e pretese dei laici di surrogare il clero nelle funzioni religiose, in contrasto con i canoni conciliari. A causa di ciò il 23 agosto 1714 il Vescovo Mons. Giulio Resta deve rinnovare l’Editto Settala, intimandone l’osservanza ed insieme dando facoltà all’Arciprete della Collegiata, in caso di contravvenzione,di “formare gli opportuni processi”.
Ciò nonostante i Confratelli, forse per eccesso di zelo spinto a vero fanatismo, continuano nella loro pietosa missione, al punto da far sorgere dissapori e liti anche con le autorità civili del luogo. Non solo, ma, a proposito di certe officiature, nascono dissensi anche con la Confraternita del S.S.Crocefisso e di M.M. Maddalena.
Tuttavia il contrasto più violento è quello sorto fra i Misericordianti ed il Parroco di San Nicolò, da cui giuridicamente dipendono, soprattutto a proposito di appropriazione di cadaveri, questione che non si risolve in loco, perché nascono da errata interpretazione di consuetudini ed attribuzioni riservate alle rispettive competenze. Per porre fine ad ogni incertezza la Congregazione dei Sacri Riti in data 10 dicembre 1703 emette il suo giudizio, di cui citiamo alcune norme:
La confraternita non dipende dal Parroco per le funzioni ecclesiastiche non parrocchiali, provvede alla benedizione ed alla distribuzione delle candele, ceneri e palme ed alla benedizione “ignis, seminis et ovorum”, ma non “mulierum post partum et fontis baptismalis”; può allestire le funzioni della Settimana Santa, fare l’esposizione delle Quarant’Ore e benedire il popolo, ostendere reliquie e sacre immagini, recitare nell’Oratorio le Ore Canoniche, celebrare la Messa con il consenso dell’Ordinario del luogo anche con la proibizione del Parroco.
Inoltre i Cappellani della Confraternita di Novi (o Casaccia, come si comincia a dire, alla genovese) possono “denonciare Festivitates vel Vigilias occurrentes in Hebdomadas”. Il Parroco non può insegnare la Dottrina nell’Oratorio senza il consenso dei Fratelli; nella Chiesa sono consentite “publicae conciones” durante la Quaresima e l’Avvento; spetta al Parroco fare l’Officio funebre sopra i cadaveri da seppellire nell’Oratorio se il tumulando è sottoposto a San Nicolò; sono permesse le processioni entro l’ambito dell’Istituto senza licenza del Parroco e fuori della zona con licenza vescovile; i Cappellani non porteranno la stola fuori della propria Chiesa; in caso di visita del Vescovo all’Oratorio il Parroco non pretenda di “porrigere aspersorium”; la Confraternita può ritenere il Sacramento dell’Eucaristia previo speciale indulto della Sede Apostolica; l’esposizione esige la licenza dell’Ordinario; il Parroco non deve ingerirsi nell’amministrazione delle oblazioni e delle elemosine, né trattenere la chiave della bussola esposta per le collette; ai Fratelli non è consentito di inframmettersi senza il permesso del Parroco nelle funzioni parrocchiali e non di San Nicolò; i Fratelli possono radunarsi secondo i loro particolari Statuti senza permesso,amministrare i loro beni e disporre di essi a loro piacimento senza l’intervento del Parroco, il quale, quando partecipa a queste adunanze per mandato dell’Oratorio, non avrà diritto al voto su alcuna questione in discussione.
Dalle norme sopra riportate come esempio, si nota che molte erano le diatribe pendenti, le quali rendevano difficile la convivenza.Comunque i nostri Confratelli, mentre si mantengono sempre battaglieri (c’è una costante discordia con le Confraternite di Pozzolo), proseguono la loro attività senz’altro meritoria.
Nel 1728 la “Confraternita sub invocatione Sanctae Mariae de Misericordia in Terra Novi Dertonensis Diocesis” chiede ed ottiene la “submissio, unio sive incorporatio” alla Sacrosanta Basilica Papale Lateranense, coll’impegno di rinnovazione ogni quindici anni e col risultato di ottenere un’ulteriore messe di Indulgenze.
Persistono comunque sempre dubbi sulle regole seguite per quanto riguarda il servizio ai defunti, per cui, al fine di dirimere una buona volta ogni controversia il Gubernator ed i Consiliarij dell’Arciconfraternita di San Giovanni Decollato di Firenze inviano alla Casaccia di Novi, col visto del Papa Benedetto XIV in data 8 dicembre 1748, le disposizioni per quel servizio, che in sintesi sono le seguenti.
Le salme dei poveri possono e devono essere sepolti dalla Confraternita, se i Parroci preposti non lo faranno entro il termine di ore venti; i Confratelli possono seppellire dette salme ritrovate fuori Città, se il Parroco, avendone avuta notizia, non procederà subito alla bisogna. Quando i defunti destinati alla sepoltura nella Chiesa della Confraternita non sono della Parrocchia, gli emolumenti spetteranno per metà al Parroco e per metà ai Confratelli. Il Cappellano che dovrà accompagnare i defunti potrà far uso della stola, senza alcuna limitazione, e sarà suo compito assistere e confortare i rei condannati a morte e potrà amministrare loro l’Eucaristia ed altri Sacramenti, anche, se necessario, insieme ad altri Sacerdoti, scelti dai Confratelli; dopo l’esecuzione, i corpi saranno sepolti nella Chiesa della Morte ed Orazione.
Nel contempo la Confraternita, che ne aveva fatto richiesta, viene aggregata alla Arciconfraternita di San Giovanni Decollato di Roma, con decreto emesso da Papa Benedetto XIV l’8 dicembre 1748 e trasmesso alla Curia Episcopale di Tortona il 26 agosto 1749, con comunicato “Dilectis Confratibus Confraternitatis sub titolo Mortis et Orationis insigni Oppidi seu Civitatis Novarum”. Questo riconoscimento comporta nuovi titoli di merito ed aggiunge appoggi in alto loco, mentre consente di usufruire di altra abbondanza di Indulgenze.
Anche il Vescovo di Tortona la tiene in grande considerazione. Mons. F.Giuseppe de Andujar, domenicano già Inquisitore Generale, nel 1752 interviene di persona a Novi, insieme alle massime autorità religiose e civili, alla inaugurazione delle campane dell’Oratorio e, il 25 luglio 1754, alla consacrazione ufficiale della nuova Chiesa della Misericordia, come risulta da epigrafe apposta nella sacrestia.
Il sigillo della Confraternita era raffigurato da un teschio con le tibie incrociate e due clessidre sulla Croce del Calvario, mentre ora i suoi membri si fregiano con un distintivo sulla mantellina recante la testa di Giovanni Battista posta su un bacile, rievocante il noto episodio della morte del Santo, e la stessa immagine viene riprodotta sulle cappe e sulla lanterna usata nella veglia col condannato a morte.
La Casaccia novese è ora al culmine del suo prestigio e gode di grande considerazione da parte dei cittadini. Quando la campana della Misericordia chiama a raccolta tutti accorrono perché si tratta sempre di cosa importante. Si conservano ancora alcuni manifesti, stampati nel 1700 a cura della Confraternita, annuncianti le esecuzioni capitali, con il verdetto del giudice e l’invito ai fedeli di partecipare ai funerali. Questi manifesti venivano affissi alle porte delle Chiese novesi.
Da essi si legge di crimini atroci con punizioni, che allora erano considerate esemplari a scopo intimidatorio per frenare la delinquenza, costituite da trascinamento a coda di mulo, impiccagione o decapitazione, squartamento ed esposizione dei resti alla Porta di Pozzolo. Seguiva per le vie di Novi il corteo funereo degli Incappucciati, che recitavano le preci dei morti, mentre alcuni Fratelli reggevano la barella (sivéria in dialetto) con il cadavere. La campana a martello aggiungeva una nota ancor più triste alla già ossessionante liturgia.
Nel Libro dei Morti relativo all’Oratorio si nota che non tutti avevano subito morte violenta, né erano appartenuti alle classi più povere: parecchi vi erano stati inumati o perché in vita furono membri della Confraternita, o perché legati da particolare devozione alla stessa. Molte sono le spoglie o di persone uccise proditoriamente da mano ignota o di soldati caduti in azione o passati per le armi.
I confratelli furono particolarmente attivi tra il 1745 ed il 1748 – gli anni della guerra di Successione austriaca – poiché appaiono molto numerose le sepolture di soldati di varie nazionalità, appartenenti agli eserciti contendenti che combatterono anche sul nostro territorio: Genovesi, Corsi, Piemontesi, Veneziani, Napoletani, Ungheresi, Tedeschi, Spagnoli, Portoghesi, tutti sepolti dalla pietà dei Novesi, senza distinzione alcuna, nella stesso luogo.
Senz’altro, comunque, il compito più gravoso svolto dai nostri Confratelli è stato quello dopo la sanguinosa battaglia di Novi del 15 agosto 1799, vinta dagli Austro-Russi contro i repubblicani Francesi, quando dovettero provvedere alla rimozione ed alle moltissime inumazioni dei caduti dei due eserciti, rimasti insepolti e senza conforto religioso. Nei libri dei Morti della Parrocchie novesi si legge a fianco di tantissimi nomi “sauciatus in pugna obiit et sepultus est in Ecclesia Misericordiae”.
Molti personaggi di rango si sono iscritti alla Compagnia e indossato il saio della “Morte“: valga per tutti il nobile Giambattista Airoli, che fu Doge biennale di Genova negli anni 1783-84.
Annualmente i Confratelli usavano rivolgere un omaggio ad una loro personalità prestigiosa, dedicandogli una breve composizione poetica: si conoscono un sonetto per il Doge prima citato, un altro per il Cardinale Principe Giuseppe Doria, Protettore della loro Chiesa, ed un altro ancora per Sua Serenità Girolamo Durazzo, anch’egli dichiarato benemerito loro Protettore.
I confratelli escono in processione annualmente il 24 giugno, giorno dedicato al Battista, il cui culto è vivissimo in Novi, pervenuto da Genova, che lo ha proclamato Patrono fin dai tempi delle Crociate, allorché i Genovesi sconfitti, durante la loro fuga, si impadronirono a Smirne delle reliquie del Santo e di un prezioso bacile, in cui, secondo la leggenda, venne posta la testa dopo la sua decapitazione.
Altra ricorrenza ancor più solenne si svolge il Venerdì Santo, con la cosiddetta “Processione del Cristo Morto”. Risale alla fine del 1700, quando una Bolla di Pio VI concesse all’Arciconfraternita romana il privilegio di graziare un condannato all’ergastolo, scelto tra quelli che scontavano la pena nelle galere pontificie a Civitavecchia. Il Priore sceglieva a caso il reo, che veniva accompagnato in corteo fino alla Chiesa di Santa Maria, sede dell’Arciconfraternita, dove gli venivano spezzate le catene. A Novi ci si limitava a bruciare, davanti alla Chiesa della Misericordia, i capestri dei giustiziati, tenuti in serbo durante l’annata trascorsa.
Ma la secolare vita della Confraternita sta per finire. Il 23 marzo 1803 da Genova il Senato della Serenissima Repubblica Democratica, sotto l’insegna della Liberté e dell’Egalité, proibisce tutte le Associazioni esistenti nel territorio ligure “escluse le Confraternite erette prima di vent’anni addietro”. Soltanto tre anni dopo arriva però il Decreto Napoleonico che intima lo scioglimento della Confraternita.
Dopo la Restaurazione del 1815 la Confraternita riprende l’attività, con lo stesso rituale, ma verso la metà del 1800 si pronuncia contro la pena di morte, che nell’anno 1889 sarà effettivamente abolita dal nostro Codice.
La presenza dei Confratelli nella nostra Città viene progressivamente meno, finché si farà soltanto simbolica e coreografica, senza incutere più il timore reverenziale di un tempo. Si vedranno ancora nei primi decenni del 1900, nelle Processioni più importanti, con il cappuccio e la lanterna, mentre trascinano per terra le catene, ma gran parte della gente che li osserva ignora quanta storia dolorosa ci sia dietro quelle apparizioni.
È probabile che per molti anni la Confraternita non abbia avuto un proprio Oratorio, perché occorre arrivare al secolo XV per aver notizia di donazioni e lasciti, con cui poter costruire e disporre di una prima chiesuola, che sorgerà, come attestano documenti dell’epoca, “nel quartiere della Valle, situata in posizione molto comoda, in mezzo alla Terra di Nove tra la Bocca che va alla Contrada Girardenga e quella che va alla Contrada della Valle”.
Il modesto edificio di quel tempo aveva l’abside rivolta ad oriente come tutte le antiche Chiese della Città, Sant’Andrea, San Pietro, San Nicolò prima edizione, Collegiata, e quindi si trovava in posizione tangente all’attuale via.
Tra il ‘600 ed il ‘700, con l’aumento dell’urbanizzazione, le chiese si costruirono con la facciata prospiciente la via di transito maggiore, senza tener conto dell’orientamento liturgico: si tratta della Cappella del Collegio San Giorgio, della Basilica della Maddalena, di San Bernardino, della Chiesetta in piazza XX Settembre, dedicata a S.Maria Annunziata e della nuova Chiesa di San Nicolò, ricostruita mutando l’abside in facciata, per favorire l’accesso da via dei Girardenghi.
Ricordiamo che nella Novi del ‘700, i cui abitanti non raggiungevano le 5000 unità, oltre alle Chiese sopra citate, erano aperte al culto anche quelle di San Francesco della Valle, di Santa Chiara delle Monache Cappellone, del Carmine e dei Padri Cappuccini fuori le mura.
Quando fu impostata la grande navata unica della Misericordia, negli ultimi decenni del ’600, fu seguito il nuovo criterio: infatti la facciata, rivolta a mezzogiorno, fronteggia la via. Si pensa che il vecchio ambiente abbia funzionato da aula consiliare, dove si riunivano i confratelli, finché non fu ultimato il nuovo. Poi anche la Chiesa più grande venne dotata di un’ampia “schola”per le riunioni, oltre la sua abside quadra.
Questa sorta di aula capitolare fu consacrata nel 1744, come dice una grande iscrizione eseguita ad affresco: D.O.M.Ecclesiam hanc sub invocatione S.M.de Misericordia sollemniter dedicavit A.C.E. MDCCXLIV die XXVI julii (A.C.E.= anno Christi eventus).
Dai documenti si apprende che nel 1665 fu acquistato da certo Gio Batta Cavanna Adornino un sedime per dotare il piccolo Oratorio di un coro e di sacrestia e che nel 1680 venne dato inizio alla nuova fabbrica, che si estese su una superficie coltivata ad orto. L’impresa sarebbe stata caldeggiata da tal Giovanni Luca D’Acorso e, come dicono i documenti, nel 1669 la signora Maria Luigia Ventura lasciava per testamento alla Confraternita la somma di lire cinquemila, riservandone l’usufrutto al marito Giovanni Giacomo Boccardo. Evidentemente nel 1680 l’usufrutto si era estinto e la disponibilità di quell’enorme somma permise la costruzione della nuova opera.
Non si sa se insieme allo sterro delle fondazioni si fosse anche scavato il profondo sotterraneo, vera catacomba mortuale, destinato ad accogliere le salme dei defunti, le cui ossa sono ancora oggi presenti in gran quantità. L’accesso all’ossario avviene attraverso una piccola botola, posta davanti all’altare, coperta con un opercolo graffito con il simbolo del teschio e delle tibie incrociate.
Quando venne demolita l’antica struttura, la facciata restò, in parte, affogata nel fianco meridionale della nuova Chiesa, al cui interno rimase una lunetta, che prima sovrastava la porta d’ingresso, rivolta al di fuori. Nel mezzo cerchio, ribassato nel muro vi era dipinto un affresco di pittore di buona mano, forse Franceschino Boxilio da Castelnuovo, in cui è raffigurata la Madonna della Misericordia che accoglie, sotto il suo celeste manto, dodici Confratelli mascherati da bianchi cappucci a cocolla, che la guardano attraverso grandi occhiaie.
Nel 1982 questo affresco venne staccato dalla sua parete e restaurato a cura della Sovrintendenza di Torino, che lo restituì alla Parrocchia madre l’anno dopo. È ora visibile nel salone della Chiesa di San Nicolò e, tra il manto della Madonna e le mani giunte del primo incappucciato di destra, si vede ancora il segno nero di un colpo di arma da fuoco, che ricorda lo sfregio subito probabilmente per dileggio da parte di soldati francesi nell’ estate del 1799.
Il sesto acuto ribassato ci rimanda al nostro tardogotico e conferma la supposizione che la prima Chiesa risalga al tardo Quattrocento, epoca indicata anche da Lorenzo Capelloni, sopra citato.
La nuova Chiesa è ad una semplice, ma armoniosa, navata. Sull’altar maggiore un Crocefisso genovese di buona fattura, a destra gli altari di San Giovanni e San Nicola da Tolentino, a sinistra quelli di Sant’Antonio e della Madonna della Misericordia.
Oggi la Confraternita non esiste più e forse se ne perderà anche il ricordo, ma nel cuore della vecchia Novi, nell’antica, nobile e contegnosa contrada della Misericordia, oggi Via A.Gramsci, sorge ancora il suo Oratorio, che sembra dimenticato, perché chiuso da tempo, eppure anch’esso testimone del tempo.
Bibliografia
S. CAVAZZA, Il secolo di Novi Barocca, Tortona, 1970, p.196
G. FIRPO, Un estratto dal Libro dei Morti dell’Oratorio della Misericordia, in “NOVINOSTRA”, marzo 1989, p.3
M. RESCIA, Torna a Novi restaurata la Madonna della Misericordia, in “NOVINOSTRA”, dicembre 1983, p.252.
M. RESCIA, La prima fabbrica dell’Oratorio della Misericordia, in “NOVINOSTRA”, settembre 1990, p.17.
M. SILVANO, Gli incappucciati della “Misericordia”, in “ NOVINOSTRA”, dicembre 1979, p.134