Archivio mensile:Giugno 2022

Antichi eventi di guerra nel novese pt.3

(tratto da Novinostra 1962 – III° parte)

   Esaminati nei due primi articoli i principali fattori che, a nostro avviso, hanno contribuito, in passato, a determinare o meno lo svolgimento di operazioni militari nel Novese, passeremo ora a trattare in breve dei singoli, principali eventi di guerra.

   Abbiamo già ricordato le più importanti guerre che hanno interessato Genova e il Novese negli ultimi secoli del Medi Evo e nel secolo XVI, prima dell’Evo Moderno. Dato però il lungo tempo da allora trascorso, riteniamo che – almeno al momento – non sia il caso di rievocare quegli avvenimenti ormai tanto lontani e neppure da trattare delle numerose lotte di carattere prevalentemente locale qui svoltesi attraverso i secoli per i contrasti tra Genova, Tortona, il Ducato di Milano, il Monferrato, ecc.

Intendiamo invece accennare ai numerosi eventi bellici che hanno interessato il novese negli ultimi secoli dell’Evo Moderno e nell’Evo Contemporaneo, nel corso di conflitti di notevole importanza politico militare e spesso di vasta risonanza italiana ed europea.

   Ci promettiamo pertanto, di ricordare in appresso succintamente le seguenti principali guerre e campagne, naturalmente per quanto hanno interessato il Novese.

*Guerra tra il Ducato di Savoia e la Repubblica di Genova per il Marchesato di Zuccarello: campagna del 1625.

*Guerra per la successione d’Austria: campagne del 1745, del 1746 e del 1747.

*Guerre della rivoluzione Francese: campagne del 1799 (battaglia di Novi) e del 1800 (battaglia di Marengo)

*Guerre del Risorgimento Italiano: campagna del 1859.

Guerra fra il Ducato di Savoia e la repubblica di Genova per il Marchesato di Zuccarello: campagna del 1625.

    Nel 1625 importanti operazioni belliche si svolsero nel Novese in conseguenza della cosiddetta guerra per il Marchesato di Zuccarello.

   Era questo – come scrisse Il Vitale < un feudo imperiale> cioè uno di quei numerosi piccoli stati, di diretta dipendenza dell’Impero, ubicati, in genere, fra la Repubblica di Genova ed il Ducato di Savoia, il cui possesso era molto ambito dai due potenti vicini, che se li contendevano, spesso, a denaro sonante, alla corte di Vienna.

   In particolare l’unione allo Stato Sabaudo del minuscolo Marchesato di Zuccarello – sorgente nel retroterra di Albenga – era da tempo molto desiderato dal Duca Carlo Emanuele I di Savoia, <piccolo di corpo ma animo di gigante>, come lo definì un ambasciatore di Venezia, esso avrebbe , infatti, consentito allo Stato Sabaudo, soffocato tra i monti, di aprirsi una breccia verso il mare in quella importante parte della Riviera di Ponente: ma a ciò la Repubblica di Genova intendeva opporsi ad ogni costo.

Alla fine, come ricorda lo stesso Vitale nel 1622, dopo un lungo lavoro diplomatico, l’Imperatore Ferdinando II, tagliando netto il groviglio dei vari diritti e delle contrastanti aspirazioni, vendette il feudo conteso a Genova per 220 mila fiorini.

   Quanto mai irritato il Duca di Savoia decide allora di vendicarsi dell’oltraggio patito sostenendo le sue ragioni con le armi, pertanto alleatosi col Re di Francia Luigi XIII e con la Repubblica di Venezia, nel 1625muove guerra alla Repubblica di Genova. Se gli fosse riuscito di impadronirsi della Superba … altro che Zuccarello!

   Dopo qualche dissidio, prevale il proposito del Duca di Savoia di puntare direttamente su Genova. Ai primi di marzo l’esercito alleato – forte di 24 mila fanti, 3mla cavalli e molta artiglieria – si raccoglie nella zona di Asti per muovere quindi verso Genova su due colonne:

 – Colonna di destra: composta da Piemontesi, al comando dello stesso Duca

–  Colonna di sinistra: formata dai Francesi, agli ordini del Maresciallo di Francia Francesco de Bonne, Duca di Lesdiguières.

   Nel contempo 20 vascelli olandesi ed un gran numero di galee e galeoni francesi si predispongono per cooperare all’impresa. I Genovesi, dal canto loro, di fronte alla grave minaccia, mentre i tano . per avere aiuti, con Filippo IV Re di Spagna e col duca di Feria, suo governatore nel Milanese, fanno apprestamenti di ogni sorta, muniscono la cresta dall’Appennino e per guadagnar tempo, decidono di difendere le frontiere della Repubblica, sostenendo più che possibile Gavi e Rossiglione.

   Frattanto il Duca di Savoia entra nel territorio della Repubblica, prende Ovada, occupa Rossiglione ed assedia il castello di Masone, spingendo punte sulla Riviera.

   Il Lesdiguières, a sua volta occupa Novi che resta così per qualche mese in mani francesi e tenta quindi, ma inutilmente, di impadronirsi del forte di Gavi: prende però la piazza con l’assedio e va poscia ad accamparsi verso Carrosio, ove è raggiunto dal Duca di Savoia. Quest’ultimo, insofferente di ogni indugio ed indignato per la beffa dei Polceveraschi che – come ricorda il De Negri – avevano fatto razzia dei suoi buoi destinati a trainare i cannoni degli alleati per la strada della Bocchetta, attacca e travolge i valorosi difensori genovesi e paesani al ponte del Frassino e il 1° aprile entra in Voltaggio per rappresaglia la incendia, lasciando solo la casa di Sinibaldo Scorza suo pittore di corte.

   Il Duca vorrebbe quindi marciare direttamente su Genova, ma insorgono al riguardo gravi dispareri con il Lesdiguières, preoccupato per il pericolo che il Duca di Feria gli si dichiari contro e dal Milanese lo attacchi alle spalle. A proposito, anzi di detti dispiaceri sembra che il Lesdiguières abbia detto un giorno a Carlo Emanuele I – caro Duca non siamo riusciti a metterci d’accordo per occupare Voltaggio figuratevi se ci riusciremo per occupare Genova! – e così accadde infatti.

   Il Duca di Savoia sperando di decidere i Francesi a seguirlo, con le sue solle forze, prosegue l’avanzata su Genova e si predispone ad investirla sia per la Val Polcevera sia per quella del Bisagno, da un lato assale la Bocchetta dall’ altro invia truppe nel Savignonese.

   Così mentre, raggiunto il valico della Bocchetta, egli può già scorgere il mare davanti alla Superba e la celebre Lanterna (che risale nella forma attuale al 1549) sempre più insufficienti appaiono le improvvisate misure militari dei Genovesi contro un a forza così saldamente organizzata e tanto maggiore. La sorte di Genova sembra ormai segnata: molti incominciano ad abbandonare la città, il tesoro pubblico viene trasferito a Portovenere.

   Invece, ben tosto, la situazione va rapidamente modificandosi, sia nel campo politico, sia in quello militare, e per Genova si profila la salvezza. Si ha infatti, fra l’altro, il mancato intervento contro la Superba della flotta Franco-Olandese, trattenuta dal Richelieu, che non voleva un eccesivo ingrandimento dei suoi alleati, in suo luogo invece compaiono nelle acque liguri le navi spagnole, mentre si delinea sempre più probabile l’intervento del Duca di Feria alle spalle dei franco- savoiardi.

   Nel contempo le pur scarse forze della Repubblica – validamente aiutate dagli abitanti delle alte Valli Polcevera e Bisagno – contrastano con decisione e valore l’avanzata di Carlo Emanuele I.

   Le truppe sabaude che erano state inviate verso Savignone ed erano riuscite ad impadronirsene per procedere verso la val Bisagno, vengono assalite e fatte prigioniere dai Genovesi.

   E’ bensì vero che il Duca in persona, presi 500 uomini scelti, per via dei monti corre in loro aiuto e riesce a liberarle, però quando egli stesso, passando per la strada che vi sale per Valle Calda, porta al nerbo principale delle sue forze verso il displuvio appenninico, i Genovesi, che hanno ricevuto soccorsi da varie parti e possono disporre di circa 12 mila uomini e del valido aiuto dei montanari della zona, riescono a fermarle definitivamente.

   Ciò avviene proprio là dove, in seguito, a ricordo di quella memorabile giornata, i Genovesi stessi eressero il noto santuario dedicato a Nostra Signora della Vittoria, meta ancor oggi di edificanti pellegrinaggi e di bellissime gite da parte anche dei Novesi.

   Invero a fermare la vittoriosa avanzata sabauda avevano concorso ulteriori contrasti scoppiati coi comandanti francesi, alla fine, giunta la notizia che il Duca di Feria, raccolti circa 16 mila uomini a Pavia , marciava su Alessandria, i Piemontesi dovettero sgomberare il territorio della Repubblica e ritirarsi verso Asti. Carlo Emanuele I però trasferiva le sue truppe sulla Riviera di Ponente, che occupava come pegno per le trattative di pace.

   Nel corso di questa memorabile campagna le sofferenze delle popolazioni del Novese – specie di Gavi e Voltaggio – furono assai gravi, come è facile immaginare.

   Ma un buon frutto doveva pur uscire da tanti dolori: la nascita del Santuario – ancor oggi tanto caro ai novesi – di Nostra Signora di Monte Spineto sopra Stazzano, come è già stato ricordato qualche anno addietro in un bellissimo articolo del < Popolo di Novi> che seguiremo in questa breve rievocazione.

   In verità una piccola cappella dedicata alla Vergine era già stata eretta dagli Stazzanesi molto tempo prima intorno al 1155, dopo che sul monte essi avevano trovato scampo agli eccidi delle milizie del Barbarossa, che in quell’anno aveva assediata e poi distrutta Tortona. Ma qualche secolo dopo, all’antica chiesetta non restava il pio ricordo e una rozza croce in legno, che apriva le due braccia desolate verso il cielo.

   Ora, appunto nel corso della ricordata campagna del 1625, gli Stazzanesi cercarono un’altra volta rifugio sul Monte Spineto e la tradizione vuole che una candida colomba fosse vista volare per più giorni fra gli atterriti profughi, tanto che essi nella loro pietà semplice e profonda, videro in essa un simbolo di pace e di protezione inviato dalla Celeste madre.

   Passato il terrore e tornati alle proprie case gli Stazzanesi, animati dal consiglio e dall’esempio dell’insigne Vescovo di Tortona, Monsignor Arese, – uomo di profonda erudizione e di tanta virtù tanto da essere paragonato a San Carlo Borromeo – riedificarono sul monte della loro salvezza una più grande chiesa dedicata alla Vergine: nel 1629 avvenne la solenne intronizzazione del simulacro marmoreo che tuttora lassù si venera.

   In conclusione da quella celebre, disastrosa guerra del 1625, trassero origine due fra i più venerati santuari del Genovese e del Novese: quello di N.S. della Vittoria nei pressi dei Giovi e quello di N. S. di Monte Spineto sopra Stazzano. E’proprio caso di dire che, non di rado, Iddio si compiace di trarre dal male il bene!

(fine III° parte – Novinostra 1962)

                                                                            ALBERTO MONTESORO

                                                                                Generale di Divisione


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Antichi eventi di guerra nel novese pt.2

(II° parte – tratto da Novinostra 1961/4 )

  Nel precedente articolo abbiamo trattato del complesso montano e collinoso dell’Antola, quale elemento geografico che, attraverso i secoli, ha svolto prevalentemente funzioni di protezione ed allontanamento dal Novese di operazioni militari.

  Nel presente articolo accenneremo brevemente a tre altri elementi che hanno interferito al riguardo, per iniziare, poi, nel successivo la trattazione delle principali operazioni stesse.

  Il secondo elemento è rappresentato dall’arco montano dell’Appennino Ligure Occidentale, estendentesi dal Passo dei Giovi al Colle di Cadibona. 

Esso come noto, pur non raggiungendo notevole elevazione, per le sue caratteristiche di ripidità ed asprezza nel versante a monte e di nudità, scarsezza di acque, di risorse e di abitati nella parte alta assiale e nel versante interno, ha costituito e costituisce tuttora un imponente barriera di ostacolo per le vie di comunicazione e per i rapporti in genere fra la Riviera Ligure Occidentale e la piana di Novi.

  Pertanto esso ha funzionato sempre da valido elemento protettivo, alle spalle del Novese, rispetto, non solo alle operazioni provenienti direttamente da Sud (esempio sbarchi di Saraceni, azioni varie dal mare, ecc.) ma anche rispetto a quelle sviluppantesi da Ovest (Provenza) per la Riviera di Ponente e dirette verso la zona di Genova (esempio: spedizione di Renato d’Angiò nel 1461 e numerose successive, fino alle guerre della Rivoluzione Francese).

In contrapposto però a questa azione protettiva, fece, purtroppo, riscontro naturale tendenza a schierare truppe sulle colline di Novi – Serravalle sentita da ogni comandante di truppe incaricato di coprire Genova a distanza, fronte a Sud, in quanto le colline stesse costituiscono le estreme ondulazioni dell’Appennino verso la piana e rappresentano quindi una buona linea di difesa (esempio Generale Joubert nell’Agosto 1799 – Battaglia di Novi).

Il terzo elemento da ricordare è la vicinanza di Genova, che, benefica sotto molti aspetti, ha esercitato però costante azione attrattiva per le operazioni di guerra verso il Novese. 

  Come qualche anno addietro ha scritto il già ricordato insigne storico genovese Teofilo Ossian De Negri, Genova – fin dal medioevo – padrona di Arquata e di Gavi – già sede di un antico, potente marchesato – iniziava la sua penetrazione economica nella zona di Novi, attraverso l’acquisto di vari e vasti appezzamenti di terreni da parte di alcuni suoi facoltosi cittadini, che vi costituirono fiorenti poderi. Su questi, col tempo, sorsero quelle numerose e spesso cospicue ville padronali che sono caratteristica ed ornamento dell’Oltregiogo in genere e del nostro Novese in ispecie.

  Alla penetrazione economica, Genova, come di consueto, fece poi seguire quell’accorta azione politica che determinava la spontanea dedizione di Novi alla Superba nel 1447 e la sua formale annessione nel 1529.

  In seguito a ciò, Novi stessa, sostituendosi a Gavi – diveniva principale centro e sede del commercio genovese d’Oltregiogo. E Genova tessa, ben presto, provvedeva a prolungare direttamente da Gavi a Novi – per la cosiddetta Lomellina – la strada della Bocchetta, cioè la sua principale via per i commerci con la Lombardia, che rendeva, così, anche indipendente dal pesante intralcio rappresentato fino ad allora dal passaggio per Serravalle, ancora in possesso dei Tortonesi.

  Novi, in tal modo, col favore dei Genovesi, che la predilissero come residenza estiva, (nel 600’ la si riteneva anche immune dalla peste, che infieriva altrove) assunse progressivamente la fisionomia di città e visse periodi di notevole floridezza.

  Si deve però riconoscere che la vicinanza di Genovese, specie sotto il riguardo economico ha apportato sicuri benefici alla nostra Novi, essa, d’altra parte, ha causato più volte il coinvolgimento suo e del Novese in genere, nelle operazioni di guerra volte contro la Serenissima Repubblica, con danni non di rado assai gravi per Novi stessa e ancor più per Serravalle e Gavi, città potentemente fortificate.

Basterà ricordare negli ultimi secoli del Medi Evo, le operazioni condotte nell’Oltregiogo nell’anno 1241, dal vicario imperiale della Lombardia, Marino da Eboli, con l’aiuto di Guglielmo Spinola, nel corso della drammatica lotta dell’Imperatore Federico II contro Genova, da cui la Superba uscì alla fine trionfante, nonché l’attacco del 1421 da parte del Conte di Carmagnola.

  Nei primi secoli dell’Evo Moderno, poi rammenteremo la vittoriosa spedizione contro Genova del Re di Francia Luigi XII, della primavera 1507, quando fu eletto Doge Paolo da Novi – il solo Doge popolano che la Repubblica abbia avuto – che, come noto, finì miseramente giustiziato l’11 maggio dello stesso anno, dopo aver cercato invano di salvare la Repubblica stessa.

In seguito si ebbe, tra l’altro, la spedizione degli Spagnoli, capitanati da Francesco d’Avalos, Marchese di Pescara, conclusasi con l’orrendo sacco di Genova del 30 maggio 1522; quindi nel 1625, quella del Duca di Savoia Carlo Emanuele I e nel XVIII secolo le campagne varie connesse con la guerra di successione d’Austria e con la Rivoluzione Francese.

  Il quarto elemento che – insieme agli altri di minor conto – ha notevolmente interferito, è la particolare ubicazione di Novi nel complesso del retroterra ligure e cioè proprio allo sbocco in piano della accennata grande strada da Genova per la Lombardia ed in corrispondenza di quel pronunciato saliente  verso Nord che i confini della Repubblica  di Genova  – col Tortonese ed il Monferrato – descrissero per lungo tempo , includendo la piana della Fraschetta , importante per i traffici e la fertilità, e Castel Gazzo per la difesa militare.

  Noi Novesi … meno giovani ricordiamo, infatti, come fino a pochi decenni addietro, a due chilometri a Nord di Novi e ad Ovest della strada per Pozzolo, vi fosse una cascina chiamata appunto <Confini> eliminata in seguito per l’allungamento del campo dell’aviazione.

Per chiudere diremo che, al riguardo, una nostra vecchia Enciclopedia Militare giustamente affermava: < data la sua posizione di città di confine, Novi risentì più di ogni altra parte dello Stato genovese gli effetti delle guerre, delle mutazioni politiche e delle catastrofi sofferte da Genova di cui seguì le sorti.

(fine II°parte)

                                                                            ALBERTO MONTESORO

                                                                                Generale di Divisione


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Antichi eventi di guerra nel novese pt.1

Premessa

Allo scopo di non trascurare alcun argomento di rilievo riguardante il presente ed il passato della nostra Novi, riteniamo non sia fuori di luogo accennare anche – in una breve serie di articoli – ai principali avvenimenti militari che, nel corso dei secoli, hanno interessato più o meno direttamente, la città ed il Novese in generale.

Questa rapida corsa lungo il cammino della storia potrà servire, almeno a ricordarci che, anche in passato purtroppo non poche volte i nostri padri, a causa di eventi bellici hanno vissuto giorni difficili e dolorosi sempre però essi, con la loro fede e la loro virtù seppero onorevolmente superare gravi periodi di crisi e di ansie, dopo i quali la città  e tutto il Novese ripresero ben presto la loro vita  ordinata ed alacre.

Prima di trattare specificatamente dei singoli avvenimenti militari ci sembra opportuno fare un rapido esame di alcuni elementi che, a nostro avviso hanno concorso in maniera preminente a determinare, o meno il verificarsi di eventi bellici nella nostra terra, che, in verità, ne ha visto parecchi.

L’imponente complesso orografico che sorge <grosso modo> entro il grande quadrilatero Genova- Tortona – Piacenza – Luni (la Spezia) e fu chiamato specialmente negli studi militari del secolo scorso “Acrocoro del Monte Antola”, costituisce nel suo insieme, una zona notevolmente elevata rispetto alle circostanti, in alcuni punti piuttosto aspra, scarsa di risorse, poco abitata e con rade vie di comunicazioni importanti, almeno fino a qualche tempo addietro. Si intuisce facilmente, anche da questo breve cenno, che esso deve aver avuto, sempre attraverso i tempi, una rilevante importanza – positiva o meno – nei riguardi umani. Saremmo pertanto qui tentati di affrontare il tema – invero assai affascinante –relativo alle funzioni esercitate attraverso i secoli, nel campo politico e militare, da questa imponente unità orografica che, un po’ selvaggia, si interpone tra quattro delle regioni più popolose e più ricche, – anche nella storia – della nostra Italia e del mondo intero: la Liguria, il Piemonte, la Lombardia e l’Emilia; e potremmo aggiungere anche la Toscana.

Basterebbe infatti, pensare che essa, sotto un certo riguardo, è stata il cuore dall’antica, vita dei Liguri; che con la sua natura rude e relativamente impervia ha certamente concorso a che essi conservassero, nel volgere dei tempi, quella tradizionale rusticità e fierezza che, nell’antichità, li fece assai diversi dai vicini Etruschi e Celti e dai non lontani Latini e ha lasciato non poche tracce anche negli abitanti di Genova e delle Riviere dei tempi odierni.

Essa fu poi il fulcro della resistenza ligure alla conquista romana e favorì, dopo lo sviluppo nel suo seno, delle caratteristiche e, sotto alcuni aspetti, ancora un po’ misteriose, unità romane di Libarna e di Velleia. La prima delle quali ancora oggi mostra i suoi gloriosi ruderi tra la dilagante modernità delle vie ferrate e delle autostrade nei pressi di Serravalle, che da essa ha voluto prendere la specificazione; la seconda ha tuttora il suo nome legato alla celebre Tavola Alimentaria di Traiano, una dei più cospicui resti della romanità, rintracciata nel 1747 da un contadino nelle colline a sud di Piacenza, dove sorgeva l’antico centro, già ligure e poi romano.

Nel Medio Evo, poscia, si originarono e si costruirono nel suo ambito la Marca Obertenga prima, la feudalità malaspiniana dopo, e, infine quelle tipiche formazioni politiche medioevali che sono i già accennati ”Feudi Imperiali” delle Valli Borbera,  Scrivia e Trebbia : essi quasi miracolosamente , riuscirono a protrarre molto a lungo la loro esistenza anche nell’Evo Moderno, cioè sino al sopraddetto anno 1797.

E non meno dovremmo dilungarci qualora volessimo passare ad esaminare le funzioni esercitate attraverso i tempi dell’acrocoro dell’Antola, oltre che nei riguardi della politica, anche in quelli delle operazioni militari nell’alta Italia. – Ci limiteremo a raccontare due soli esempi, uno antico ed uno recente, interessanti ambedue i campi e dimostranti l’importanza avuta sempre dal grande ostacolo dell’Antola interponentesi fra il Mar Ligure ed il Po.

Sappiamo che i Romani raggiunsero primieramente Genova, per via di terra, non da sud (cioè per la riviera di Levante, come a prima vista verrebbe di pensare) ma da nord, cioè da Piacenza – Dertona (Tortona). Essi a tal fine, costruirono la via Postumia, che da Dertona stessa, attraversata Libarna, scavalcava la displuviale appenninica nella zona dell’attuale Passo della Bocchetta e raggiungeva alla fine la Valle Polcevera a Pontedecimo che vuolsi abbia derivato il nome dal latino <Ad ponte decimum> perché era sorto al decimo ponte o al decimo miglio da Genova sulla Postumia stessa.

Ora , anche in seguito, quando con grande fatica (a causa appunto dell’asprezza delle estremità meridionali dell’acrocoro dell’Antola, costituenti l’ossatura della Riviera di Levante e che, come noto, cadono in certi punti quasi a picco sul mare) riuscirono a prolungare la Via Aurelia da Luni a Genova, i Romani si guardarono bene dallo spostare qui l’asse fondamentale  dei loro collegamenti coll’Italia Nord Occidentale e poi anche con l’oltralpe (Gallia, ecc.) ben convinti che per le difficoltà del terreno ne sarebbe conseguita una sicura grave crisi.

Detto asse continuò ad essere rappresentato dalle due classiche Via Flaminia e Via Aemilia Lepidi, con Piacenza nodo stradale principale. E in conseguenza, come di recente ricordato, in una delle sue pregevoli pubblicazioni, l’insigne storico genovese Teofilo Ossian De Negri, <Genova nell’età romana>, rimase sempre un po’ fuori dal grande traffico terrestre.

E per venire ai giorni nostri, tutti noi ricordiamo che sulle giogaie e nelle valli dell’Antola e del Penna trovò le sue sicure basi la resistenza ligure, pavese ed emiliana: e la prima ebbe tanto vigore da imporre alla fine la resa delle truppe tedesche in Genova prima dell’arrivo degli Alleati attardati anch’essi dalle difficoltà che alla loro avanzata oppose l’aspra Riviera di Levante.

E’ proprio chi scrive ricorda, non senza soddisfazione, di avere comandato le truppe della guarnigione di Genova che, in una luminosa giornata dell’ormai lontano 1947, in piazza della Vittoria, al termine di una solenne cerimonia, per prime presentarono le armi al Gonfalone della Superba poco avanti decorata della Medaglia d’Oro al Valor Militare.

Con riserva, quindi di accennare eventualmente , con qualche maggiore ampiezza, ai suddetti suggestivi temi in altro articolo , qui ci basterà osservare che l’imponente e relativamente impervio complesso montano dell’Antola, interponendosi pesantemente tra il Mar Ligure (Riviera di Levante) e la riva destra del Po (Stretta di Stradella) ha costituito sempre una barriera di ostacolo pressoché insuperabile per ogni grande spedizione militare tendente, in genere, dalle Alpi Occidentali e dal Piemonte verso la pianura padana centrale (Lombardia ed Emilia) od orientale e verso l’Italia Centrale e Meridionale (Roma, Napoli, Sicilia e viceversa.

Possiamo affermare che tutti i grandi condottieri hanno saputo valutare nel suo giusto valore questo ostacolo naturale dell’Antola e hanno evitato, sia il suo attraversamento, sia il suo aggiramento a sud per Genova e la tormentata Riviera di Levante. Tutti hanno preferito passare a nord: i più avanzando sulla riva sinistra del Po (Annibale. Carlo VIII, Carlo Magno. Ecc.) qualcuno più ardito e manovriero, per la stretta di Stradella abilmente sfruttata.

Ricorderemo tra questi ultimi due condottieri eccelsi e manovratori accorti e decisi quanto altri mai: Principe Eugenio di Savoia, sommo Capitano degli Eserciti Imperiali Austriaci e Napoleone Buonaparte.

Il Principe Eugenio nel 1706, passò arditamente perla stretta di Stradella nella sua celeberrima marcia dal Veneto al Piemonte, nel corso della quale seppe sfuggire agli eserciti francesi che poco dopo, unitosi alle truppe del Piemonte comandate dal Duca Vittorio Amedeo II,  batté clamorosamente nella grande battaglia – a fronti rovesciate – di Torino, dalla quale più di uno storico vorrebbe fare iniziare gli esordi del nostro Risorgimento Nazionale, e che è ricordato dalla nota Basilica

di Superga.

Il Generale Buonaparte, a sua volta, nel 1796, messo fuori causa il Piemonte, nonostante la sua eroica resistenza, si volge contro gli Austriaci: ingannatili con false manovre circa una sua possibile intenzione di passare il Po a Casale, si getta a marce forzate per la stretta di Stradella, supera il Po nella zona di Piacenza e corre a dare la famosa battaglia sull’Adda, al ponte di Lodi, che vittoriosa gli apre la strada del Milanese e dell’intera Italia.

Ed ora venendo finalmente a concludere per quanto specificatamente interessa la nostra Novi ed il Novese diremo che, essendo essi situati, come già detto, nell’estremo lembo sud  della piana di Marengo , coperti verso oriente da questo grandioso baluardo naturale dell’Antola, si sono trovati , automaticamente in un canto, diremo così, riparato , in una specie di angolo morto, rispetto le grandi operazioni di guerra svoltesi in passato nella pianura padana, ed in genere dell’Alta Italia e non aventi per specifico obiettivo Genova.

Verrebbe qui la pena di ricordare al riguardo la umoristica definizione che <di angolo morto> davano i vecchi, fieri combattenti della prima guerra mondiale: <l’unico luogo in cui si rimane vivi! >

(I°parte – continua)

Tratto da NOVINOSTRA 1961/3

                                                                              ALBERTO MONTESORO

                                                                                  Generale di Divisione


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