(tratto da Novinostra 1962 – III° parte)
Esaminati nei due primi articoli i principali fattori che, a nostro avviso, hanno contribuito, in passato, a determinare o meno lo svolgimento di operazioni militari nel Novese, passeremo ora a trattare in breve dei singoli, principali eventi di guerra.
Abbiamo già ricordato le più importanti guerre che hanno interessato Genova e il Novese negli ultimi secoli del Medi Evo e nel secolo XVI, prima dell’Evo Moderno. Dato però il lungo tempo da allora trascorso, riteniamo che – almeno al momento – non sia il caso di rievocare quegli avvenimenti ormai tanto lontani e neppure da trattare delle numerose lotte di carattere prevalentemente locale qui svoltesi attraverso i secoli per i contrasti tra Genova, Tortona, il Ducato di Milano, il Monferrato, ecc.
Intendiamo invece accennare ai numerosi eventi bellici che hanno interessato il novese negli ultimi secoli dell’Evo Moderno e nell’Evo Contemporaneo, nel corso di conflitti di notevole importanza politico militare e spesso di vasta risonanza italiana ed europea.
Ci promettiamo pertanto, di ricordare in appresso succintamente le seguenti principali guerre e campagne, naturalmente per quanto hanno interessato il Novese.
*Guerra tra il Ducato di Savoia e la Repubblica di Genova per il Marchesato di Zuccarello: campagna del 1625.
*Guerra per la successione d’Austria: campagne del 1745, del 1746 e del 1747.
*Guerre della rivoluzione Francese: campagne del 1799 (battaglia di Novi) e del 1800 (battaglia di Marengo)
*Guerre del Risorgimento Italiano: campagna del 1859.
Guerra fra il Ducato di Savoia e la repubblica di Genova per il Marchesato di Zuccarello: campagna del 1625.
Nel 1625 importanti operazioni belliche si svolsero nel Novese in conseguenza della cosiddetta guerra per il Marchesato di Zuccarello.
Era questo – come scrisse Il Vitale < un feudo imperiale> cioè uno di quei numerosi piccoli stati, di diretta dipendenza dell’Impero, ubicati, in genere, fra la Repubblica di Genova ed il Ducato di Savoia, il cui possesso era molto ambito dai due potenti vicini, che se li contendevano, spesso, a denaro sonante, alla corte di Vienna.
In particolare l’unione allo Stato Sabaudo del minuscolo Marchesato di Zuccarello – sorgente nel retroterra di Albenga – era da tempo molto desiderato dal Duca Carlo Emanuele I di Savoia, <piccolo di corpo ma animo di gigante>, come lo definì un ambasciatore di Venezia, esso avrebbe , infatti, consentito allo Stato Sabaudo, soffocato tra i monti, di aprirsi una breccia verso il mare in quella importante parte della Riviera di Ponente: ma a ciò la Repubblica di Genova intendeva opporsi ad ogni costo.
Alla fine, come ricorda lo stesso Vitale nel 1622, dopo un lungo lavoro diplomatico, l’Imperatore Ferdinando II, tagliando netto il groviglio dei vari diritti e delle contrastanti aspirazioni, vendette il feudo conteso a Genova per 220 mila fiorini.
Quanto mai irritato il Duca di Savoia decide allora di vendicarsi dell’oltraggio patito sostenendo le sue ragioni con le armi, pertanto alleatosi col Re di Francia Luigi XIII e con la Repubblica di Venezia, nel 1625muove guerra alla Repubblica di Genova. Se gli fosse riuscito di impadronirsi della Superba … altro che Zuccarello!
Dopo qualche dissidio, prevale il proposito del Duca di Savoia di puntare direttamente su Genova. Ai primi di marzo l’esercito alleato – forte di 24 mila fanti, 3mla cavalli e molta artiglieria – si raccoglie nella zona di Asti per muovere quindi verso Genova su due colonne:
– Colonna di destra: composta da Piemontesi, al comando dello stesso Duca
– Colonna di sinistra: formata dai Francesi, agli ordini del Maresciallo di Francia Francesco de Bonne, Duca di Lesdiguières.
Nel contempo 20 vascelli olandesi ed un gran numero di galee e galeoni francesi si predispongono per cooperare all’impresa. I Genovesi, dal canto loro, di fronte alla grave minaccia, mentre i tano . per avere aiuti, con Filippo IV Re di Spagna e col duca di Feria, suo governatore nel Milanese, fanno apprestamenti di ogni sorta, muniscono la cresta dall’Appennino e per guadagnar tempo, decidono di difendere le frontiere della Repubblica, sostenendo più che possibile Gavi e Rossiglione.
Frattanto il Duca di Savoia entra nel territorio della Repubblica, prende Ovada, occupa Rossiglione ed assedia il castello di Masone, spingendo punte sulla Riviera.
Il Lesdiguières, a sua volta occupa Novi che resta così per qualche mese in mani francesi e tenta quindi, ma inutilmente, di impadronirsi del forte di Gavi: prende però la piazza con l’assedio e va poscia ad accamparsi verso Carrosio, ove è raggiunto dal Duca di Savoia. Quest’ultimo, insofferente di ogni indugio ed indignato per la beffa dei Polceveraschi che – come ricorda il De Negri – avevano fatto razzia dei suoi buoi destinati a trainare i cannoni degli alleati per la strada della Bocchetta, attacca e travolge i valorosi difensori genovesi e paesani al ponte del Frassino e il 1° aprile entra in Voltaggio per rappresaglia la incendia, lasciando solo la casa di Sinibaldo Scorza suo pittore di corte.
Il Duca vorrebbe quindi marciare direttamente su Genova, ma insorgono al riguardo gravi dispareri con il Lesdiguières, preoccupato per il pericolo che il Duca di Feria gli si dichiari contro e dal Milanese lo attacchi alle spalle. A proposito, anzi di detti dispiaceri sembra che il Lesdiguières abbia detto un giorno a Carlo Emanuele I – caro Duca non siamo riusciti a metterci d’accordo per occupare Voltaggio figuratevi se ci riusciremo per occupare Genova! – e così accadde infatti.
Il Duca di Savoia sperando di decidere i Francesi a seguirlo, con le sue solle forze, prosegue l’avanzata su Genova e si predispone ad investirla sia per la Val Polcevera sia per quella del Bisagno, da un lato assale la Bocchetta dall’ altro invia truppe nel Savignonese.
Così mentre, raggiunto il valico della Bocchetta, egli può già scorgere il mare davanti alla Superba e la celebre Lanterna (che risale nella forma attuale al 1549) sempre più insufficienti appaiono le improvvisate misure militari dei Genovesi contro un a forza così saldamente organizzata e tanto maggiore. La sorte di Genova sembra ormai segnata: molti incominciano ad abbandonare la città, il tesoro pubblico viene trasferito a Portovenere.
Invece, ben tosto, la situazione va rapidamente modificandosi, sia nel campo politico, sia in quello militare, e per Genova si profila la salvezza. Si ha infatti, fra l’altro, il mancato intervento contro la Superba della flotta Franco-Olandese, trattenuta dal Richelieu, che non voleva un eccesivo ingrandimento dei suoi alleati, in suo luogo invece compaiono nelle acque liguri le navi spagnole, mentre si delinea sempre più probabile l’intervento del Duca di Feria alle spalle dei franco- savoiardi.
Nel contempo le pur scarse forze della Repubblica – validamente aiutate dagli abitanti delle alte Valli Polcevera e Bisagno – contrastano con decisione e valore l’avanzata di Carlo Emanuele I.
Le truppe sabaude che erano state inviate verso Savignone ed erano riuscite ad impadronirsene per procedere verso la val Bisagno, vengono assalite e fatte prigioniere dai Genovesi.
E’ bensì vero che il Duca in persona, presi 500 uomini scelti, per via dei monti corre in loro aiuto e riesce a liberarle, però quando egli stesso, passando per la strada che vi sale per Valle Calda, porta al nerbo principale delle sue forze verso il displuvio appenninico, i Genovesi, che hanno ricevuto soccorsi da varie parti e possono disporre di circa 12 mila uomini e del valido aiuto dei montanari della zona, riescono a fermarle definitivamente.
Ciò avviene proprio là dove, in seguito, a ricordo di quella memorabile giornata, i Genovesi stessi eressero il noto santuario dedicato a Nostra Signora della Vittoria, meta ancor oggi di edificanti pellegrinaggi e di bellissime gite da parte anche dei Novesi.
Invero a fermare la vittoriosa avanzata sabauda avevano concorso ulteriori contrasti scoppiati coi comandanti francesi, alla fine, giunta la notizia che il Duca di Feria, raccolti circa 16 mila uomini a Pavia , marciava su Alessandria, i Piemontesi dovettero sgomberare il territorio della Repubblica e ritirarsi verso Asti. Carlo Emanuele I però trasferiva le sue truppe sulla Riviera di Ponente, che occupava come pegno per le trattative di pace.
Nel corso di questa memorabile campagna le sofferenze delle popolazioni del Novese – specie di Gavi e Voltaggio – furono assai gravi, come è facile immaginare.
Ma un buon frutto doveva pur uscire da tanti dolori: la nascita del Santuario – ancor oggi tanto caro ai novesi – di Nostra Signora di Monte Spineto sopra Stazzano, come è già stato ricordato qualche anno addietro in un bellissimo articolo del < Popolo di Novi> che seguiremo in questa breve rievocazione.
In verità una piccola cappella dedicata alla Vergine era già stata eretta dagli Stazzanesi molto tempo prima intorno al 1155, dopo che sul monte essi avevano trovato scampo agli eccidi delle milizie del Barbarossa, che in quell’anno aveva assediata e poi distrutta Tortona. Ma qualche secolo dopo, all’antica chiesetta non restava il pio ricordo e una rozza croce in legno, che apriva le due braccia desolate verso il cielo.
Ora, appunto nel corso della ricordata campagna del 1625, gli Stazzanesi cercarono un’altra volta rifugio sul Monte Spineto e la tradizione vuole che una candida colomba fosse vista volare per più giorni fra gli atterriti profughi, tanto che essi nella loro pietà semplice e profonda, videro in essa un simbolo di pace e di protezione inviato dalla Celeste madre.
Passato il terrore e tornati alle proprie case gli Stazzanesi, animati dal consiglio e dall’esempio dell’insigne Vescovo di Tortona, Monsignor Arese, – uomo di profonda erudizione e di tanta virtù tanto da essere paragonato a San Carlo Borromeo – riedificarono sul monte della loro salvezza una più grande chiesa dedicata alla Vergine: nel 1629 avvenne la solenne intronizzazione del simulacro marmoreo che tuttora lassù si venera.
In conclusione da quella celebre, disastrosa guerra del 1625, trassero origine due fra i più venerati santuari del Genovese e del Novese: quello di N.S. della Vittoria nei pressi dei Giovi e quello di N. S. di Monte Spineto sopra Stazzano. E’proprio caso di dire che, non di rado, Iddio si compiace di trarre dal male il bene!
(fine III° parte – Novinostra 1962)
ALBERTO MONTESORO
Generale di Divisione